Gli alberi sono sempre in quarantena?

Gli alberi sono sempre in quarantena?

 

Rivediamo i nostri paradigmi urbanistici imparando dagli alberi, che in una foresta si comportano come elementi di uno stesso organismo

 

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Quando un’amica mi ha regalato Verde brillante di Stefano Mancuso e Alessandra Viola non ho immaginato che avrei condiviso così presto l’immobilità degli alberi, le città silenziose come boschi. Confinati nelle nostre case, e privilegiati rispetto a chi ha dovuto moltiplicare le ore e le difficoltà sul lavoro, sondiamo con risvegliato acume i minimi dettagli e le più ardite potenzialità. Acquistiamo consapevolezza degli oggetti, della luce, delle risorse di libri e di cibo, gli alluci sapienti come apici radicali alla ricerca di umidità e azoto; decodifichiamo il clickering della crescita delle radici circostanti per espanderci senza compromettere l’equilibrio dell’insieme; titubanti, valutiamo occasionalmente di fondere le nostre radici con quelle di altri, come fossimo abeti Douglas, per creare un sistema di risorse comuni anche ad esemplari più giovani o malati. Tutto si accende di nuovi colori, mentre aspettiamo che le acque si richiudano sopra l’emergenza eccezionale della pandemia.

Ma siamo sicuri che si tratti di un evento eccezionale? La virologa Ilaria Capua ha osservato come nel nostro tempo gli spostamenti siano troppo frequenti, veloci e distanti per consentire l’adattamento o la reazione degli organismi biologici; perciò, in un mondo ormai strettamente e velocemente interconnesso, i presupposti per il possibile reiterarsi di nuovi contagi massivi sarebbero permanenti.

La prospettiva del ripetersi di epidemie è per noi inedita, e sollecita risposte a nuovi interrogativi: quali sono i luoghi dove preferiremo abitare? riterremo più sicuro vivere in un territorio a bassa densità per limitare le occasioni di contagio, o in città per la maggior vicinanza di ospedali e supermercati? quali sono le relazioni cui teniamo? di cosa abbiamo maggior bisogno? Proviamo a essere alberi fino in fondo, per cercare strategie da cui ripartire.

Non potendo fuggire davanti ai pericoli, per compensare predazioni o danni una pianta ha un corpo biologico ridondante, in cui ciascuna funzione vitale non è demandata ad un singolo organo: l’assorbimento dei nutrienti, il loro trasporto, la produzione di zuccheri… sono svolti da milioni di apici radicali, migliaia di vasi linfatici e di foglie, tutti coordinati fra loro da una forma d’intelligenza diffusa, che non risiede in un organo preposto ed è in grado di reagire alle circostanze esterne in modo articolato. Ma c’è molto di più: l’intelligenza di sciame si manifesta anche nell’assunzione di strategie di gruppo per contrastare malattie o pericoli chimici: gli alberi di una foresta si comportano come elementi di uno stesso organismo.

È uno schema totalmente diverso dalla logica di apprendimento e decisione che ci contraddistingue, ma nel frangente dell’epidemia ha manifestato indizi di esistere, e credo possa essere la risorsa principale della ricostruzione. Nell’apparente separazione degli individui e delle nazioni è apparso chiaro quanto forte sia il substrato di legami, sentimenti e sistemi di relazione, informazione e comunicazione: un patrimonio prezioso da cui è stata tratta la forza – vincente – della coesione. Su questo terreno dobbiamo innestare le mutate prospettive di valori, e le conseguenti esigenze di nuove modalità lavorative, di sicurezza sanitaria, di qualità dell’abitare.

Dobbiamo cogliere l’occasione di rivedere lo scenario alla base di tutti i ragionamenti urbanistici degli ultimi anni, che contempla la competizione fra le città per catturare capitali esterni, il territorio come campo di battaglia fra città vincenti che crescono e città sconfitte che perdono e implodono, la pianificazione pubblica atrofizzata e la popolazione mondiale per due terzi residente in megalopoli entro il 2050. Dobbiamo fare una riflessione profonda per concepire nuovi modelli di sviluppo corali come una foresta, stabili perché condivisi, e, forse, dobbiamo ricordare che dopo tutte le pestilenze si è ripartiti dalla nostra più grande risorsa, il territorio.

Autore

  • Clelia Tuscano

    Architetta, si è laureata e formata con Giancarlo De Carlo. Fra le pubblicazioni, le interviste ai membri del Team Ten (in Team Ten a utopia of the present, Netherland Institute of Architecture, 2005) e la cura di La città e il territorio, quattro lezioni di Giancarlo De Carlo (Quodlibet - 2019). Ha curato con Benedetto Besio diverse edizioni del festival Big November della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Genova.

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