Giovanni Bettarini: cosi non svendiamo Firenze
Nell’ambito dell’inchiesta sul capoluogo toscano, l’assessore comunale all’Urbanistica risponde alle criticità riguardanti l’imprenditoria privata e gli investimenti pubblici
Assessore Bettarini, come si coniuga una politica di governo del territorio principalmente rivolta al coinvolgimento del capitale privato con la necessità di valorizzare anche la sfera pubblica (ovvero, quelle destinazioni d’uso come l’artigianato, la cultura, il sociale, la ricerca che non hanno quella reddittività insita in destinazioni d’uso come il turistico ricettivo, il commerciale e il residenziale che attraggono gli investimenti internazionali)?
Una città che produce reddito riesce anche a sostenere ciò che produce cultura e riesce a trovare le risorse per sostenere la sua identità. Il Comune spende in cultura la gran parte dell’imposta di soggiorno che arriva a 33 milioni, di cui quasi 11 spesi sui trasporti, 4,5 al Maggio musicale fiorentino, 750.000 a Palazzo Strozzi, altri 750.000 alla Pergola e al Gabinetto Viesseux.
Firenze è una città che ha uno strano problema: produce troppo valore immobiliare che crea un’attrattività che non sempre è quella che noi vogliamo. Mi spiego meglio. Se a una bottega artigiana in centro fa concorrenza una grande catena internazionale, l’artigianato è destinato a scomparire. Questa è una battaglia difficile che va combattuta con strumenti diversi. Una delle armi più importanti è stato il Regolamento UNESCO che, non a caso, si chiama regolamento di tutela del Patrimonio culturale e architettonico del centro UNESCO di Firenze che si è impegnato ad una regolamentazione commerciale, con evidenti impatti anche sull’uso degli immobili. Lo abbiamo fatto in due direzioni; la prima, chiedendo alta qualità nei negozi di somministrazione; la seconda, proibendo l’apertura di nuovi negozi di somministrazione. Questo anche per ridurre la concorrenza diretta degli alimentari sui ristoranti. Ricordo che già abbiamo più di mille locali di somministrazione in poco più di 3 km quadrati.
Ci sono poi altri aspetti. Proprio in questi giorni celebriamo il quinto anniversario dell’incubatore d’impresa di Shanghai a Firenze a cui corrisponde un gemello incubatore di impresa fiorentino a Shanghai, progettato da Stefano Boeri. Così, noi manteniamo dei rapporti con imprenditori cinesi che non vengono solo ad acquistare gli immobili ma che vengono a portare energia da un punto di vista produttivo e di idee che consentono uno scambio tra le due città. Siamo la prima città italiana ad aver intrapreso questa strada e in questo incubatore c’è un gruppo di giovani imprenditori fiorentini che si sono trasferiti a Shanghai che hanno sviluppato idee molto interessanti. Ci sono stati dei ragazzi italiani che hanno studiato moda e sono andati a sviluppare nuovi modelli di business in Cina, lavorando con aziende cinesi e hanno visto come funziona. Oppure, più banalmente, un neo laureato fiorentino o giovane imprenditore che vuole fare un’esperienza in Cina nel nostro incubatore ha la possibilità di avere una scrivania per lavorare nell’incubatore di Shanghai per poco più di 300 euro al mese, dove ha a disposizione una rete di contatti e di relazioni per quello che vuole fare. Questo è un progetto del Comune di Firenze insieme al Centro per lo sviluppo del Comune di Shanghai.
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Gli investimenti privati nel settore del real estate dovranno essere bilanciati anche da strategie rivolte al settore delle opere pubbliche di cui beneficia maggiormente la comunità dei residenti. Quali prospettive esistono per reperire risorse destinate a edifici con funzioni di tipo pubblico e sociale?
Ricordo il recupero di Sant’Orsola, un contenitore significativo che accoglierà anche funzioni pubbliche nel cuore della città. Poi ci sono altre considerazioni. Investitori come The Student Hotel propongono un modello molto permeabile alla città, che è molto diverso dalla tradizione degli investimenti immobiliari. Un piano di queste strutture viene dedicato alla cittadinanza. Inoltre, sempre con The Student Hotel abbiamo stipulato un contratto di ‘bike sharing’ che prevede il noleggio gratuito di una bicicletta a tutti gli ospiti dell’hotel. Vorrei ricordare anche il lavoro che stiamo portando avanti con il piano di San Donato, dove all’interno dell’ex ciminiera, uno spazio di quasi 2.000 mq, verrà realizzato un Centro di quartiere. A luglio partirà l’appalto. Sono due modelli, questo secondo è più tradizionale e prevede lo scomputo sugli oneri per le infrastrutture pubbliche, mentre il primo è più innovativo. Il primo dimostra che chi oggi investe nelle città è più sensibile all’impatto sulla sfera pubblica. Il vero vantaggio di avere grandi investitori internazionali consiste nel fatto che il grande investitore investe nell’immagine del suo marchio ma punta molto anche sulla crescita della città. Non pensa solo al guadagno a breve periodo sulla singola operazione immobiliare ma pensa anche alla realizzazione di un progetto globale che di solito è un progetto internazionale. Firenze ha il grande vantaggio di essere una città che rappresenta un’eccellenza a livello mondiale, dove tutti vogliono spendere il massimo delle loro possibilità.
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E’ realistico pensare a finanziamenti pubblici per realizzare le opere pubbliche del futuro?
Nel nostro modello attuale, le nostre risorse sono principalmente convogliate nelle infrastrutture, – pensiamo alle tranvie, all’aeroporto, alla TAV – mentre il finanziamento dell’edilizia è delegato all’iniziativa privata. Un’imprenditoria privata a cui però chiediamo di dare un contributo alla città. Ci sono comunque progetti a più piccola scala, come la sistemazione di piazza dei Ciompi, la rigenerazione del mercato di Sant’Ambrogio e la realizzazione del nuovo mercato delle Pulci in Largo Annigoni, di cui il Comune si occupa in prima persona. È stato Bandito un concorso di idee e attueremo il progetto vincitore.
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Il modello di sviluppo urbano che si prefigura è quindi quello che si appoggia principalmente all’imprenditoria privata con logiche di stampo liberale. Un modello che presume un forte snellimento burocratico per avere tempi brevi e certi delle trasformazioni. Pensa che sia possibile attuare quelle semplificazioni da tempo promesse e che allo stato attuale non sono ancora adeguate per affrontare la concorrenza del libero mercato?
Noi abbiamo lavorato tantissimo sulla semplificazione e auspichiamo ulteriori semplificazioni a livello nazionale. Su questo i comuni possono fare molto poco. La volontà di semplificare ulteriormente c’è, ma è un fatto di sistema. Nessuno di noi ha interesse che le cose siano più complicate del dovuto ma ci vogliono semplificazioni a livello regionale e nazionale perché si sovrappongono una serie eccessiva di tutele. Noi ci siamo ma ci vuole uno sforzo da parte di tutti.
Naturalmente l’urbanistica lascia delle trasformazioni permanenti sul territorio e dunque ha bisogno di maggiori controlli; quindi, penso sia giusto fare due passaggi in Consiglio comunale per approvare un Piano o una Variante, perché tutti gli aspetti devono essere visti con grande attenzione. In media noi ci mettiamo un anno a fare una Variante. Per quanto riguarda invece più specificatamente l’edilizia, abbiamo recentemente fatto una sorta di “manutenzione” delle norme tecniche che uscirà tra Qualche settimana e che mira appunto ad una semplificazione. Queste revisioni le facciamo tutti gli anni e ce ne sarà un’altra anche il prossimo anno.