Genova per noi (o del patrimonio culturale tra parentesi)
Il caso del sistema museale è emblematico di una generale mancanza di strategie di valorizzazione dell’eredità del contemporaneo
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Published 17 febbraio 2021 – © riproduzione riservata
Con quella faccia un po’ così quell’espressione un po’ così che abbiamo noi che abbiamo visto Genova…
(Bruno Lauzi)
La storia di una città si misura sul suo patrimonio architettonico, sulle committenze e sugli architetti che hanno dato forma al potere e alla rappresentanza. Negli ultimi decenni, la Superba ha rimosso, silenziosamente, quello che restava dell’eredità moderna. Accadde per Villa Venturini di Luigi Carlo Daneri, distrutta nel 1990 e accadde nel 2000 per il padiglione espositivo di Angelo Mangiarotti alla Fiera del mare, sostituito da una tensostruttura muscolare e grossolana che, probabilmente, verrà demolita dal nuovo progetto del waterfront di Levante.
Ogni epoca ha i suoi monumenti, ma non sempre quelli rappresentativi dell’architettura moderna sono considerati tali. Genova, Firenze, Roma hanno straordinari esempi di architetture costruite nel Novecento, che formano la storia delle città, ma le amministrazioni pubbliche fanno di tutto per rimuoverle, alterarle, svenderle o lasciarle al degrado. I recenti casi delle manomissioni in atto delle opere di Franco Albini e Luigi Carlo Daneri a Genova, lo stadio Franchi di Firenze e lo stadio Flaminio a Roma, entrambi di Pier Luigi Nervi, dimostrano il disinteresse della politica nel valorizzare importanti opere pubbliche, pensate per l’uso collettivo, come musei e stadi, elementi di un patrimonio da valorizzare.
La damnatio memoriae del contemporaneo
Nel caso genovese, la continua rimozione della memoria albiniana in funzione di un opinabile adeguamento impiantistico ha radici lontane, dal concorso per il primo adeguamento di Palazzo Rosso nel 2001 per proseguire con un altro gioiello, il Museo di Sant’Agostino. Unica eccezione è il Museo del tesoro di San Lorenzo. C’è tuttavia un elemento che lega comuni di appartenenza politica differente come Genova (a guida Lega) e Firenze (a guida PD): l’importanza di costruire un’immagine mediatica di efficienza, indipendentemente dalle conseguenze che certe scelte determinano sul patrimonio architettonico moderno, consacrato dalla letteratura specializzata.
Di fatto la società civile, sempre pronta alle battaglie campali in difesa di questo o quel sopruso, appare tiepida quando si tratta di architettura e arte contemporanee. Rimane una questione per addetti ai lavori che non riesce a rompere il muro dell’indifferenza tra il mondo culturale e la comunità.
Le ragioni vanno ricercate in un certo elitarismo degli addetti ai lavori, che non riducono il linguaggio scientifico a una forma comprensibile alla maggioranza. Le colpe sono gravi anche nei media “generalisti”, in un contesto genovese ma estendibile all’intero paese: il dibattito pubblico è silenziato, mentre è vivace nelle chat di Whatsapp. In questo senso, le polemiche per la rimozione dei capolavori museografici albiniani non hanno attivato nessuna presa di coscienza pubblica da parte di cittadini o intellettuali.
Nel 2018 Enrico Pinna organizzò un lodevole convegno dal titolo emblematico “I musei dei Maestri”, in quanto Palazzo Rosso era già in odore di ulteriori pesanti alterazioni mirate allo svuotamento dei caratteri originari. Nonostante le premesse e le parole degli abili conferenzieri, ciò non influì minimamente nelle scelte della Direzione lavori pubblici del Comune, nel silenzio della Soprintendenza, poco avvezza a comunicare le sue azioni e in quel periodo interessata ad assecondare le richieste della politica, anche quando consentono di tutelare beni comuni.
Nel 2019 avevamo assistito ad una vicenda paradossale sulla Casa littoria di Sturla, piccolo capolavoro di matrice lecorbusieriana realizzata da Daneri nel 1938 e destinata a diventare sede di un distaccamento dei Vigili del Fuoco, come se fosse l’unica soluzione percorribile. In quel caso è invece avvenuta la restituzione dell’immobile al Demanio, dopo che il percorso inverso era stato avviato in modalità partecipativa nel 2016, finalizzato alla realizzazione di una casa di quartiere.
Le criticità del settore della cultura
Astraendoci dai singoli casi e allargando il nostro sguardo alla situazione della cultura, registriamo molte criticità. Innanzitutto una delle qualità di Genova era la rete dei musei distribuiti sul territorio. Sono 33, se includiamo anche gli archivi, che costituiscono dei veri e propri poli. È il caso di Nervi che comprende Galleria d’arte moderna, Museo G. Luxoro, Raccolte Frugone e Wolfsoniana, il polo di Strada Nuova (Palazzo Rosso, Palazzo Bianco, Palazzo Tursi), e, ancora, il Mu.MA (Museo del mare, opera di Guillermo Vasquez Consuegra), il Museo del Risorgimento, il Museo d’Arte orientale E. Chiossone (opera di Mario Labò e Luciano Grossi Bianchi), Castello d’Albertis, il Museo di Arte contemporanea Villa Croce, solo per citare i più importanti.
Una rete così estesa necessita di una strategia efficace che possa portare i residenti e i turisti a conoscere e fruire questo patrimonio storico. Se non c’è sensibilità verso il Cinquecento e il Seicento, secoli che hanno fatto grande Genova, maggiormente dentro alle corde dei genovesi, figuriamoci se può accadere per altri periodi storici come il Movimento moderno. Una comunità che non riesce a ricordare ed identificarsi con la propria storia non ha futuro. Occorre dunque rileggere la storia dell’architettura e dell’arte contemporanee che hanno reso avanguardia Genova, dai musei di Albini all’Arte povera, esposta nel 1967 proprio nella città portuale.
I genovesi non possono voltarsi dall’altra parte e poi “mugugnare” che tutto va male, se loro per primi non pressano la politica per cambiare rotta e veleggiare verso un futuro aperto al mondo e non rinchiuso in una logica autoreferenziale e protettiva. Il declino non è dunque solo politico e amministrativo ma civico, laddove non si lotta più per difendere un patrimonio culturale comune. Mentre a Firenze l’associazione Mus.e cura la valorizzazione del patrimonio dei Musei civici fiorentini realizzando progetti culturali e mostre, a Genova si affida il progetto strategico per la diffusione della cultura a un’unica consulente, la storica dell’arte Anna Orlando, vanificando così l’operato dei direttori dei Musei civici, dalla realizzazione delle mostre alle relazioni internazionali.
Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra “Radical City” all’Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra “Sottsass Oltre il design” allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra “Paolo Soleri. From Torino to the desert”, per celebrare il centenario dell’architetto torinese, nell’ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l’opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro “Giancarlo De Carlo: l’architetto di Urbino”