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La sopraelevata sul lungomare, allo sbocco del centro storico (© Emanuele Piccardo)

Genova dei giorni bui

Genova dei giorni bui

Dopo anni di progetti e personalità, la Superba langue tra il nuovo piano per il centro storico affidato all’Urban Lab comunale e l’assenza di strategie di trasformazione urbana

 

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Published 6 gennaio 2021 – © riproduzione riservata

Era il 1980 quando Giancarlo De Carlo veniva incaricato dal Comune di Genova di predisporre un piano per il recupero del quartiere Prè, all’interno di un vasto programma di rigenerazione urbana, diremmo oggi, che vedeva coinvolti in altre aree della città Ludovico Belgioioso, Renzo Piano, Cesare Fera, Ignazio Gardella e Luciano Grossi Bianchi.

Nel novembre 2020, con grande enfasi, il Comune informa i media, sempre più supini ai voleri dell’amministrazione del sindaco Bucci, del Piano di interventi nel centro storico. Dal 2017 il governo di centrodestra cittadino ha lanciato molti progetti per mascherare l’assenza di una chiara strategia di trasformazioni urbane future: il parco del Cerchio rosso, il waterfront di levante, la cabinovia dal porto al forte Begato, il museo della città. Progetti non finanziati, ad eccezione del waterfront griffato Piano, che evidenziano una pessima pratica della politica attuale: lanciare proclami per guadagnare consenso elettorale che faticano a essere realizzati. È sempre più importante annunciare e sfruttare l’onda mediatica, necessaria al mantenimento del potere. D’altronde, con l’appiattimento del locale Ordine degli architetti sulle posizioni della giunta Bucci, ogni dibattito è precluso. Le scelte non vengono discusse con la città ma imposte: un bel modo d’intendere la democrazia.

Questo atteggiamento evidenzia una crisi politica e amministrativa nella gestione delle trasformazioni urbane che riguarda principalmente l’attuale Assessorato all’urbanistica.

Occorre fare un passo indietro per comprendere l’involuzione attuale della città dal punto di vista amministrativo rispetto al periodo in cui l’urbanista Bruno Gabrielli era assessore al centro storico e all’urbanistica (dal 1997 al 2007 nelle giunte di Giuseppe Pericu). Membro dell’Ancsa (Associazione nazionale centri storico artistici) e allievo di Giovanni Astengo, Gabrielli fu il fautore di un piano per il centro storico e della sua manutenzione nelle vie principali Balbi e San Lorenzo, in previsione della Capitale europea della cultura (2004) e nell’organizzazione del concorso di Ponte Parodi (2000), vinto da Ben Van Berkel e mai realizzato, anche se nelle ultime settimane pare essere tornato di moda.

Quella di Gabrielli, con l’inseparabile amico Oriol Bohigas che studiava come intervenire sulla via Gramsci, la strada a mare tra centro storico e porto, è stata una stagione ricca d’interventi che ha visto molti architetti ripensare la città, grazie anche al lavoro dell’Agenzia del Piano portuale creata da Stefano Boeri e Enrico Bona, tra i quali Rem Koolhaas, Manuel De Solá Morales, Ignasi De Solá Morales, Bernardo Secchi e Marcel Smets.

Oggi, in questa povertà culturale, il Piano di interventi nel centro storico, con una previsione di spesa pari a 137 milioni, viene affidato all’Urban Lab comunale con una presenza monodisciplinare di architetti senza il contributo di storici, statistici, urbanisti, antropologi, sociologi. Non si forniscono indicazioni normative, né strategie d’intervento per una radicale riqualificazione architettonica: come si può dunque chiamarlo piano? Semmai sarebbe più corretto definirlo programma di intenti con una serie di proposte disorganiche e difficilmente realizzabili: dall’albergo diffuso alle residenze universitarie, senza essersi accordati con le proprietà private, fino agli interventi nei musei di Franco Albini per rimuoverne gli allestimenti storicizzati, equiparando i capolavori moderni ad un qualsiasi condominio da rendere efficiente energeticamente. In questa situazione, la sostenibilità economica dell’intero programma non è ancora nota.

Il piano non piano considera il centro storico come un’entità sconnessa dal resto della città, ma nella realtà non è così. De Carlo aveva capito bene la connessione con la darsena e il porto, che costituivano il quarto lato aperto sul mare. Lo aveva compreso anche Piano quando aveva restituito alla città, ma soprattutto al centro storico, il mare con il progetto dell’Expo. Era il 1992, l’ultimo anno in cui il Comune ha elaborato un progetto di trasformazione alla scala urbana. Di recente, Piano è stato molto attivo a Genova con il Blueprint sul recupero dell’area della Fiera, il cui esito fallimentare, con la mancata proclamazione del vincitore del concorso indetto nel 2015, lo hanno portato a rivedere il progetto che si è trasformato in Waterfront di levante ma che agisce sulla stessa area del precedente, in una naturale prosecuzione del lavoro iniziato nel 1992. Ancora una volta l’architettura parla con una sola voce, quella del suo figlio illustre.

Nel 2000, il nuovo Piano regolatore aveva previsto di agire sul centro storico anche con “alleggerimenti volumetrici” e incentivando “l’azione dei privati, attraverso un meccanismo attuativo diretto – scrive l’urbanista Andrea Vergano – al fine di favorire un recupero diffuso. Dall’altra indirizza l’azione pubblica su situazioni particolari, per innescare processi di recupero più ampi […]. Un’azione che trova linfa nei finanziamenti derivanti dai grandi eventi” come le Colombiane (1992), il G8 (2001) e la Capitale europea della cultura (2004). Gabrielli lo definiva uno “strumento rozzo, certo scarsamente sofisticato, ma operativo, che è stato ricondotto ad un centinaio di schede di azioni (dove sono esplicitati l’obiettivo, la provenienza delle risorse, la data di inizio e quella di conclusione, i soggetti coinvolti)”. Una differenza di approccio e metodo che tendeva, ventuno anni fa, a valorizzare il patrimonio storico che portò al riconoscimento Unesco del centro storico, grazie all’indimenticata opera dello storico Ennio Poleggi.

Invece ora assistiamo alla rimozione della storia moderna della città, dalla casa del soldato di Luigi Carlo Daneri ai musei di Albini, che deve essere cancellata per poi riproporre un museo proprio sulla storia di Genova. Un’ostilità nei confronti di Albini poco comprensibile, se non per soddisfare l’amministrazione proprio da parte di quei funzionari, architetti peraltro, della Direzione lavori pubblici. Questi ultimi fautori della gara per il museo della città vinta da Migliore+Servetto con i genovesi Go Up, tra i cui membri figura il presidente dell’Ordine degli architetti Paolo Raffetto. Se da un lato è legittimo che Raffetto partecipi ai concorsi, non dovrebbe essere opportuno farlo nella città dove esercita la sua carica istituzionale.

Si manifesta dunque un problema di rapporto tra poteri che non consente l’attivazione di un dibattito democratico aperto alla città sulle scelte dell’amministrazione, anche per la presenza nel Consiglio dell’Ordine degli architetti di Luca Dolmetta, responsabile proprio del Piano per il centro storico.

Giorni bui per Genova, la Superba, che ha spinto un gruppo di architetti, sociologi e urbanisti a elaborare 10 domande per il centro storico, pubblicate su archphoto.it. Una testimonianza rivolta a Comune, Ordine degli architetti e terzo settore, attraverso l’indispensabile “cambio di approccio che non legga univocamente il centro storico come quel luogo di frontiera e pertanto risolvibile con una politica sicuritaria, bensì lo consideri come un patrimonio della nostra storia ma presente nel XXI secolo”.

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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