Fuggire a Cicogna

Fuggire a Cicogna

Un caso di ripopolamento nel Parco della Val grande, il luogo “più selvaggio d’Italia”

 

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Published 4 maggio 2022 – © riproduzione riservata

Fuggire dalla città? Sì, ma meglio in montagna. Questo affermano le statistiche Istat. Le Alpi rappresentano per molti ciò che si potrebbe definire una sempre più appetibile alternativa di vita. Fra il 2004 e il 2014 la popolazione alpina nel suo complesso è cresciuta dall’1,3%. In sei anni, in Alto Adige i residenti sono aumentati di 23.000 unità. Non basta certo a definire il fenomeno come un controesodo dopo decenni di spopolamento, ma sono segnali significativi.

 

Quando a Cicogna arrivò la cicogna

E in certe vallate, quando arriva una nuova nascita, si fa festa. Come è avvenuto a Cicogna, frazione di Cossogno, nel Parco nazionale della Val grande (Verbano-Cusio-Ossola), a inizio duemila. Lì bambini non arrivavano da 41 anni: così giornali, siti, televisioni ne hanno parlato come di un piccolo, grande evento locale.

 

Serena, non lo stereotipo di Heidi!

Quando poco tempo fa ho incontrato Serena a Cicogna – ormai ha vent’anni e lavora nell’azienda agricola di famiglia – mi ha detto: «Di recente ho ripreso in mano la raccolta dei giornali che parlano di me. Ma non mi è piaciuto come mi hanno trattato. Guarda qui, leggi un po’. Sì può scrivere Serena la reginetta della Val grande, la nuova Heidi delle Alpi piemontesi! Io non sono Heidi, io sono me stessa. Sono andata a scuola all’Agrario per cinque anni. Tutti i giorni mio padre mi portava in macchina giù a Fondo Toce, mezz’ora di strada tutta a curve. Poi da lì salivo sul pullman e in un’ora arrivavo a scuola. Un’ora e mezza per andare e altrettanto per tornare».

Il tono con cui i giornali hanno raccontato la vita di Serena (dopo la nascita sono tornato più volte a trovarla) è un indicatore eloquente di come la montagna continui ad essere trattata attingendo agli stessi stereotipi di sempre, al felice mondo alpestre, alla libertà dei bambini che giocano con le capre, come Heidi, l’eroina del romanzo scritto da Johanna Spyri nel 1890. Gli stereotipi sono duri a morire. Per molti le Alpi rimangono intrappolate nel mito romantico che le contrappone alla città: il bene e la salute stanno da una parte (in montagna), il male e la malattia in città (Francoforte, nel caso di Heidi). Ma la montagna, per la famiglia di Serena, non è stata affatto una fiaba felice.

 

Abitare Into the Wild

Nel 1989, Rolando, il papà di Serena, aveva 23 anni quando arrivò a Cicogna la prima volta. Viveva nel Varesotto ed era un appassionato di sentieri. Un giorno di quelli che cambiano la vita, s’imbatté in un articolo sulla rivista “Alp” dedicato alla Val grande, il luogo “più selvaggio d’Italia” come aveva stabilito il Corpo forestale dello Stato. Zaino in spalla, imboccò un sentiero che parte da Cicogna e letteralmente, passo dopo passo, cadde innamorato. Dopo la gita si fermò al bar per farsi una birra. Uno scambio di parole con gli astanti e alla fine gli venne automatico chiedere: «Qualcuno per caso sa se c’è una baita in vendita?» Silenzio. I presenti si guardarono stupiti: «Chi è questo qui?».

In effetti, scoprì più avanti, una baita in vendita c’era. Era una stalla, non una casa. Ma in un posto meraviglioso. Sì, quello era il suo destino. Trasferirsi lì e trasformare il luogo. La prospettiva era lavorare a testa bassa, per anni. Rolando però non era solo, aveva la forza della condivisione che lo sosteneva: con lui c’era la futura moglie Rosanna. «All’epoca», mi ha raccontato, «a Cicogna non c’era niente. Soltanto pensionati. Non c’era turismo, l’escursionismo non si sapeva neppure cosa fosse; niente…». E anche lui non sapeva fare niente. Doveva sfalciare pezzetti di prato a 30° di pendenza, sui quali quasi non si riusciva a stare in piedi. Doveva costruire una teleferica per approvvigionarsi. E nel giro di poco tempo conobbe l’ostilità dei paesani. Come, perché lui ce la può fare e i nostri figli se ne sono andati? La sua presenza non era ben accetta, tutt’altro. Rolando affermava implicitamente il fallimento di una comunità che non aveva saputo rinnovarsi. Mentre lui, forestiero, lavorando sodo…

 

Una storia a lieto fine (non come nel film Il vento fa il suo giro)

Intanto Rolando e Rosanna mettevano da parte qualche soldo e subito lo investivano per comprare altri pezzettini di terra da gente che ormai non abitava più lì. Tutte le proprietà immobiliari, dalle case ai terreni, erano divise in particelle catastali microscopiche, frutto di continue spartizioni dell’eredità tra numerosi fratelli. Fazzoletti di terra il cui costo di mercato era inferiore alla parcella del notaio e alla tassa di registro. «Per mettere insieme la nostra proprietà ho dovuto fare una decina di atti notarili».

Questa è una storia a lieto fine. Non come quella del film-culto di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro, che racconta uno dei tanti scontri con la realtà respingente della montagna. Rolando, Rosanna, Serena e poi la sorellina Chiara ora hanno una cinquantina di capre, cavalli, l’orto, un campeggio, l’agriturismo. Eppure le famiglie come quelle di Rolando costituiscono dei veri e propri presidi umani, che mantengono in vita la montagna, creano turismo di qualità. Ma con enormi difficoltà.

 

Una legge per agevolare le cose

Gli ostacoli più alti, per i giovani che vogliono trasferirsi sulle Alpi, non sono imposti solo dalle condizioni fisiche dei luoghi, dalla fatica di vivere isolati, su un pendio, nella neve da spalare, o nei lunghi viaggi per andare a scuola. Il vero problema sono i vincoli culturali e amministrativi: peggio le politiche dell’altitudine. I catasti sono come puzzle intricatissimi attraverso i quali non è sempre facile risalire ai proprietari. Bisogna spesso trattare con persone anziane, stanche, sospettose verso ogni forma di miglioramento.

Oggi è in discussione in Parlamento un’attesissima legge sulla montagna. E speriamo sia una legge che agevoli le ricomposizioni fondiarie, che differenzi le inflessibili normative pensate per gli edifici in città, e soprattutto che favorisca il diffondersi della cultura di montagna. C’è moltissimo da fare. Ma a quel punto progettare la vita sulle Alpi non sarà un’impresa per pochi. E Heidi rimarrà solo un mito letterario.

 

Immagine di copertina: veduta invernale di Cicogna, frazione di Cossogno (Verbano-Cusio-Ossola)

Autore

  • Marco Albino Ferrari

    Scrittore, giornalista divulgatore della cultura delle terre alte, gira l’Italia con i suoi monologhi, Frêney 1961 e La neve delle rondini. Negli anni novanta ha diretto “Alp”, per poi fondare nel 2002 e dirigere per 17 anni “Meridiani Montagne”. Ha curato l’allestimento di Cast, il museo al Castel Masegra di Sondrio. Scrive su “la Stampa” e dirige la collana Stelle alpine di Hoepli. Tra i suoi volumi: In viaggio sulle Alpi (Einaudi); La sposa dell’aria (Feltrinelli); Alpi segrete, La via del lupo, Montecristo, Le prime albe del mondo (Letarza); Il sentiero degli eroi (Rizzoli); La via incantata, Frêney 1961,Mia sconosciuta (Ponte alle Grazie), vincitore del Premio Itas 2021 [foto © Michele Lotti]

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