Firenze, una domanda a…
Nell’ambito dell’inchiesta su Firenze, Fabrizio Rossi Prodi, Francesco Gurrieri e Gabriele Del Mese riflettono sui temi dell’architettura contemporanea, dell’Università e dell’alta velocità
Fabrizio Rossi Prodi Ordinario di Progettazione Architettonica e Urbana presso l’Università di Firenze, Fondatore ROSSI PRODI ASSOCIATI (RPA)
Architettura contemporanea prêt-à-porter
Come valuta la condizione e lo stato della ricerca dell’architettura contemporanea a Firenze?
La ricerca per l’architettura contemporanea è un’opera titanica e tragica. Non le si richiede più di esprimere i valori condivisi di una comunità, semmai di indossare un’immagine prêt-à-porter, manifestando contraddittori desideri turistici. Per i cittadini e i loro amministratori, l’espressione architettonica deve stupire con l’importazione di canoni e paradigmi tratti da viaggi e temi lontani; per gli investitori – che sbarcano sui flussi finanziari – all’opposto deve essere neo-renaissance. Si tratta di due versioni di “fake” prodotte da una committenza disorientata, che amplia il frastuono che ci circonda. Così noi architetti siamo condannati al re-mix e a suonare sempre di più a tema. Allora mi domando: dopo tutta questa sbornia di “mercato”, non dico l’etica, ma almeno, forse, non dovremmo riscoprire gli intellettuali?
Francesco Gurrieri Ordinario di Restauro dei Monumenti presso l’Università di Firenze, Presidente della Classe di Architettura dell’Accademia delle Arti del Disegno
Città e Università, un unum del futuro
Come valuta il rapporto tra Città e Università e quali prospettive possono guidare la sua evoluzione futura?
La presenza dell’Università ha sempre accompagnato la storia di Firenze, fin dal 1321, con lo Studium Florentinum, quando la città stava realizzando, con Arnolfo di Cambio, l’ultima cerchia delle sue mura medievali. Fatta eccezione per alcuni brevi periodi, in cui fu spostata a Pisa, Prato e Pistoia, l’edilizia universitaria ha costituito parte determinante del tessuto urbano, concorrendo al formarsi di quella urbanitas che ha caratterizzato l’immagine e la percezione della città. Né è da dimenticare, per il loro ruolo culturale, la presenza dell’Accademia delle Arti del Disegno (dal 1563) , dell’Accademia La Colombaria (dal 1735), dell’Accademia dei Georgofili (dal 1753), del Gabinetto Vieusseux (dal 1819) e del Kunsthistorisches Institut (dal 1897); tutte strutture culturali in qualche modo collegate all’Università.
Fino ai primi anni del Novecento, tutte le funzioni universitarie erano contenute nel centro storico; è solo nel primo decennio del XX secolo che la Facoltà di Medicina s’impianta nell’area di Careggi (pur conservando alcuni istituti nel centro); nel 1936 si attiverà formalmente anche la Facoltà di Agraria alle Cascine. Ma è di tutta evidenza come il decentramento di Medicina e Agraria sia conseguente a ragioni funzionali d’igiene urbana e a motivi pratici di laboratorio e terreni sperimentali. Dunque, da un secolo l’Ateneo, articolandosi via via fino a tredici facoltà, si consolida nel cuore della città, con le migliaia di studenti che vi risiedono e costituiscono una fondamentale rete di relazioni sociali ed economiche, integrandosi perfettamente nei servizi e nelle infrastrutture. Ciò fino all’ultimo decennio del secolo scorso, quando, per coincidenze particolari (ma specificamente per l’abbandono della Fiat da una vasta area a Novoli) i vertici dell’Ateneo concordarono lo spostamento di ben tre facoltà (Giurisprudenza, Scienze politiche ed Economia) dal centro della città al nuovo “polo” periferico. Inutili gli appelli e le considerazioni sulle conseguenze di quello sradicamento. Il nuovo “polo” è veramente un’isola urbana a sé stante, non facilmente raggiungibile con mezzi pubblici, priva dei servizi propri ad una comunità così numerosa. La zona della SS. Annunziata, con la grande piazza brunelleschiana, si svuota improvvisamente della presenza degli studenti, iniziando un declino urbano che si dimostrerà irreversibile. In definitiva, prima dello spostamento (quasi una “deportazione”) a Novoli, l’area dell’Annunziata era un vero e proprio “campus urbano” invidiatoci da tutto il mondo, dove gli studenti consumavano la loro vita di relazione fra i monumenti, le sculture, gli spazi che avevano fatto grande l’umanesimo e la stessa Firenze. Una storia, questa, che ancora una volta, sottolinea la fragilità culturale delle realtà urbane sedimentate nei secoli: realtà che sono, esse stesse, nel loro insieme, un unico “bene culturale”.
Da dove ripartire, dunque? Forse, da un coraggioso programma di implementazione internazionale delle numerose realtà universitarie presenti sul territorio. Infatti, sono ben 45 le università straniere a Firenze, senza contare la grande realtà costituita dall’European University Institute, operante dal 1976 e insediato in tre sedi storiche collinari a costituire un vero e proprio polo a sé stante. Sono tantissime strutture che costituiscono un capitale umano e scientifico davvero unico, la cui progressiva integrazione potrebbe portare a prospettive politiche di grande interesse e persino inaspettate. Occorrerebbe innescare un “reattivo” istituzionale capace di portare progressivamente ad unum – nel rispetto delle specificità – tanta ricchezza di pensiero e di presenze. E dove, se non a Firenze, la realizzazione di tale utopia?
Gabriele Del Mese Ingegnere e progettista TAV, Fondatore Arup Italia
Alta velocità: quale avvenire?
Dopo 20 anni di progettazione TAV e molti progetti dedicati a Firenze, come valuta i procedimenti e i concorsi per le opere pubbliche in Italia rispetto alla sua lunga esperienza nel mondo anglosassone con Arup?
La fretta è raramente una buona consigliera. Nel mestiere poi della progettazione e costruzione dell’opera architettonica, la fretta potrebbe addirittura portare a risultati disastrosi per la comunità cui l’opera è destinata. D’altra parte però, l’immobilismo e il continuo temporeggiare col fare e disfare delle decisioni sulle opere già progettate o già in cantiere non solo porta a sprechi enormi di denaro pubblico ma anche ad un risultato di caos urbano e lungaggini infinite che ritardano il completamento delle opere, e se queste sono mai completate, risultano insoddisfacenti in molti aspetti o addirittura inutili perché realizzate in tempi troppo lunghi durante i quali le esigenze della comunità sono cambiate.
La lunga vicenda del concorso internazionale per la progettazione e costruzione della stazione AV di Firenze non è certamente unica nel panorama dei lavori pubblici italiani. Essa può forse essere vista come una delle tante lezioni da cui imparare ed un test esemplare che mette in luce la complessa capacità imprenditoriale e gestionale, non sempre cristallina, del sistema pubblico italiano. Tristemente, come molte altre opere simili, è anche un’opportunità persa.
Il concorso internazionale di progettazione del 2002 fu indetto a valle di un lungo iter di indagini ed analisi tecniche, ambientali, economiche ed urbane che portarono gli esperti ed amministratori dell’epoca alla scelta del miglior tracciato per la linea ferroviaria AV sia in superficie che nel sottosuolo della città. Sulla base delle stesse indagini fu localizzata la posizione sotterranea per la stazione AV e il nodo, o hub, con tutte le sue molteplici funzioni, che nella visione degli amministratori di quel tempo avrebbe finalmente messo ordine al complesso sistema trasportistico della città per gli anni a venire.
È bene ricordare che il concorso internazionale riguardava la progettazione architettonica ed ingegneristica della sola stazione AV e servizi relativi, non il sistema dell’intero nodo né tantomeno la scelta del percorso ferroviario e la locazione della stazione, dati questi del concorso. A seguito della complessa progettazione, il completamento dei lavori era previsto per il 2012.
I dieci gruppi di progettazione selezionati da una giuria internazionale presentarono tutti proposte molto interessanti e di grande qualità. Ma, indipendentemente da quale gruppo fosse risultato vincitore, il “sistema Italia” era già pronto ad entrare inesorabilmente in azione. Durante i lavori subentrò una nuova amministrazione comunale che, sebbene della stessa corrente politica, aveva una diversa visione su molte delle scelte fatte da quella precedente. Il cambio di visione innesca un meccanismo vizioso che riapre tutte le decisioni già approvate dalla generazione precedente, con inevitabili e conseguenti ritardi. Naturalmente, la vita continua e si evolve, e con i ritardi le esigenze della comunità cambiano, come è naturale e giusto che sia, per cui le conseguenze delle nuove visioni e delle diverse scelte, con i lavori in corso, hanno sempre come risultato l’abbandono del cantiere. Se poi si arriva al completamento del progetto, spesso le nuove soluzioni combinate con le precedenti, sanno molto di quei “rappezzamenti” urbani ed architettonici alla meno peggio di cui abbondano l’Italia e Firenze stessa.
Un modo di fare come questo, sebbene tipico in Italia, è abbastanza alieno al mondo anglosassone, e non perché questo sia necessariamente migliore. Vale però molto di più il fatto che se la comunità ha bisogno di un’opera, questa va programmata e realizzata indipendentemente dall’eventuale susseguirsi di diverse amministrazioni. Il risultato globale di questo modo di fare è che il Paese spreca di meno ed è privo di tante opere incompiute.
Forse nel DNA Italiano è ancora troppo vivace il germe dell’infinita dialettica e polemica ad oltranza e a tutti i costi, col risultato d’infiniti rifacimenti e continui cambi di direzione che non fanno altro che incoraggiare abusivismi e producono opere mal fatte o mai completate o fatte a metà. Purtroppo questo modo di procedere è abbastanza tipico in Italia ed è la causa principale del diffuso degrado urbano delle nostre città.
Per il bene del Paese è evidente che l’istituto dei concorsi di progettazione per opere pubbliche e le regole per la loro costruzione hanno urgente bisogno di essere rivisti e regolamentati in modo tale da vincolare positivamente tutte le forze coinvolte per portare a termine in modo appropriato e non dispersivo le opere oggetto di concorso. In questo modo sarà possibile evitare l’enorme spreco di denaro pubblico e il continuo degrado delle nostre città. Suggerimenti per questi cambiamenti sono stati già delineati da me oltre che da molti altri colleghi, e si spera che qualcosa si faccia in proposito e presto.
Immagine principale, da sinistra: Fabrizio Rossi Prodi, Francesco Gurrieri e Gabriele Del Mese