Ruggero Lenci, prototipo detentivo di media sicurezza: planimetria generale della configurazione con tre padiglioni-tipo da 200 posti cadauno

Due esperienze progettuali: i margini di miglioramento ci sono

Due esperienze progettuali: i margini di miglioramento ci sono

 

I progetti affrontano il tema con un’apertura al panorama internazionale: per misurare la civiltà di un paese occorre analizzarne la condizione carceraria

 

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Istituto penitenziario di media sicurezza in Italia (2001)

Il prototipo di un padiglione detentivo di media sicurezza per 200 persone (presentato al concorso bandito dal Ministero della Giustizia nel 2001), mira alla realizzazione di un organismo edilizio idoneo tanto alla custodia, quanto alla crescita sociale, culturale, artistica, psicologica, sanitaria del detenuto. Nella distribuzione degli spazi viene ricercato un rapporto tra l’individuo e la collettività, tra la privacy e la condivisione, secondo il modello architettonico filogeneticamente adattativo della biofilia: non un sistema rigidamente razionalista che potrebbe, semmai, andare bene per i “liberi”, bensì un modello organico che prende spunto dalla complessità della natura, sempre invocata specie quando ci si trova in uno stato di privazione della libertà.

Ne consegne che la proposta evita schemi aggregativi seriali nei quali il soggetto recluso potrebbe smarrire la propria identità, basandosi invece sull’idea di un impianto stellare irregolare nel quale poter più spontaneamente trovare un rapporto di familiarità con la “casa” che lo ospita e con gli altri individui. L’irregolarità è costituita dalla presenza di due angoli di 110° e di uno di 140°, ideati al fine di consentire, nell’angolo maggiore, l’inserimento di una volumetria articolata (contenente sala polifunzionale, biblioteca e mensa), nella quale si genera una tripla altezza ove si affacciano tutti i livelli. Questa situazione decentrata rispetto alle ali detentive – che sono quindi più “privatizzate” – genera una forte interazione spaziale dell’architettura, che stabilisce un rapporto visivo tra i diversi livelli di gran lunga migliore rispetto a quello dell’ormai vetusta tipologia della galleria detentiva con ballatoi laterali e vuoto centrale, luogo nel quale si mischiano fastidiosi rumori e odori. In questo modo, il prototipo recepisce le innovazioni apportate dalle discipline specifiche che si occupano del recupero del detenuto – senza trascurare le esigenze del personale di vigilanza – concependo l’organismo edilizio come un’architettura complessa nel rispetto delle normative vigenti.

Tutte le celle posseggono ottimali caratteristiche d’illuminazione naturale e varietà di visuali esterne, non essendo mai costrette in corpi a 90° né, peggio ancora, ubicate in posizione prossima a un angolo retto concavo. Per il rispetto delle normative di sicurezza, il padiglione è dotato di scale ubicate sulle testate dei corridoi, così da consentire una corretta evacuazione in caso d’incendio. Il problema di come rendere tali scale di sicurezza compatibili con le esigenze di controllo proprie di un istituto detentivo è stato risolto attraverso l’adozione di ponti mobili in acciaio incernierati sulla scala che, per mezzo di martinetti idraulici, si abbassano o si alzano.

In sintesi, il prototipo consiste in un padiglione di tre piani fuori terra a tre bracci, con celle ai piani primo e secondo. Al piano terra sono ospitati mensa (con cucina, dispensa, celle frigo, accesso per il carico/scarico), biblioteca, sala polivalente, sale per le arti, stanza dell’assistente sociale, stanza dello psicologo, medicheria, stanza degli educatori, stanza del cappellano, stanza del silenzio (per tutte le religioni), spaccio di generi alimentari, deposito. I piani detentivi dell’impianto stellare contengono, oltre alle celle, le stanze per la socialità (una per braccio), la medicheria, la barberia, la stanza per i colloqui con la direzione, servizi igienici per la polizia penitenziaria e uno spazio per le pulizie. Al centro del nodo è inserito il posto di controllo, costituito da una stanza esagonale in struttura di acciaio e vetri corazzati, all’interno della quale è inserita una consolle con monitor, comandi elettromeccanici e dispositivi elettronici. I bracci sono costituiti da corpi tripli biesposizionali, quindi aventi il riscontro d’aria, con al loro interno una serie di pilastri cavi a forma di “V” apribili sui corridoi che fungono anche da cavedi per gli impianti. Da un punto di vista strutturale, il complesso è composto da cinque parti indipendenti giuntate tra loro: braccio ovest; braccio nord; braccio est; nodo centrale; corpo sala polivalente/biblioteca/mensa.

Casa circondariale in Algeria (2003)

Lo schema è stato elaborato a seguito di una missione in Algeria organizzata dall’United Nations Development Program (Undp) nel 2003 come risposta al grave affollamento di detenuti algerini nelle nostre strutture penitenziarie (all’epoca, oltre 3000), ovvero di una Casa circondariale che sarebbe dovuta sorgere nell’area di Biskra, a circa 300 km a sud di Algeri. La struttura, delle dimensioni stabilite durante gli incontri e i sopralluoghi con gli altri membri della missione, è concepita per poter essere realizzata in quattro fasi, mantenendo la piena operatività durante ognuna di esse. La configurazione finale è quella di un’ampia corte circolare dalla quale si accede agli spazi di trattamento e di supporto agli impianti stellari, questi ultimi costituiti da edifici di due piani di celle detentive.

 

Autore

  • Ruggero Lenci

    Professore di Architettura e composizione architettonica della Sapienza Università di Roma, si occupa di strutture detentive da svariati anni, sul cui tema è relatore di tesi di laurea. Nel 1997 ha partecipato con Sergio Lenci al progetto per l’ampliamento del carcere di Roma-Rebibbia, nel 2001 al concorso per un prototipo nazionale di padiglione detentivo, nel 2003 ad una missione U.N.D.P. ad Algeri.

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