Da Salviamo la “Colonia Enel” di Riccione!, a cura dell’Ordine degli Architetti e Pianificatori Paesaggisti Conservatori della Provincia di Rimini

Colonie marine, ascesa e declino di una tipologia edilizia

Colonie marine, ascesa e declino di una tipologia edilizia

Non solo le opere iconiche del fascismo: un excursus storico dalle origini tardo Ottocentesche al crepuscolo con il boom economico

 

Published 20 gennaio 2021 – © riproduzione riservata

Dall’ospizio alla colonia marina: la nascita del sistema assistenziale infantile

L’origine delle colonie marine si può rintracciare nel movimento assistenziale e culturale che a metà dell’Ottocento inizia a sperimentare le pratiche di talassoterapia sui bambini affetti da tubercolosi. Dopo l’unità d’Italia la diffusione degli impianti talassoterapici registra un notevole incremento grazie alle sovvenzioni elargite da enti privati e organizzazioni religiose che combattono la mortalità infantile. In questo primo periodo, è proprio l’impulso dell’iniziativa privata a determinare i caratteri tipologico-funzionali delle colonie, che spaziano dalle strutture ospedaliere degli asili profilattici e degli ospizi marini alle scuole all’aperto, fino alle colonie di vacanza.

Se alla base delle prime strutture permane l’intento terapeutico, la successiva riforma dell’attività assistenziale e formativa del governo fascista agevola la costituzione di istituti con mansioni ben più ampie rispetto alla mera attività sanatoriale, finalizzate a controllare la formazione di una vasta platea di giovani, spesso non bisognosa di cure terapeutiche, che vengono affidate agli ambulatori e ai sanatori. La colonia assume così il ruolo di modello educativo di massa, rivelandosi uno degli strumenti più efficaci per la costruzione del consenso, oltre che luogo privilegiato per la formazione paramilitare della gioventù, tanto che la prima mostra di carattere propagandistico allestita nel 1937 al Circo Massimo a Roma è dedicata proprio alle colonie estive e all’assistenza all’infanzia.

 

La dislocazione territoriale

Mentre i primi complessi di metà Ottocento si attestano lungo le direttrici territoriali destinate alle zone turistiche e segnate dalla nascente rete infrastrutturale, con ricadute negative sull’urbanizzazione e sull’economia delle località di villeggiatura, nella successiva fase di rilancio le colonie seguono una logica di decentramento ai margini estremi del tessuto edificato esistente, in aree costiere di minore pregio turistico distanti dalle zone residenziali e talvolta isolate dai centri abitati.

Lungo la riviera adriatica si segue la direttrice lineare della costa, prefigurando l’urbanizzazione senza soluzione di continuità del litorale romagnolo che esploderà nel secondo dopoguerra. Al contrario, il fronte tirrenico (Toscana e, in maniera più limitata, Lazio e Liguria) vede la nascita di vasti e compatti aggregati di colonie totalmente autonomi rispetto ai centri urbani, primi nuclei delle località turistiche che si svilupperanno lungo il litorale nel periodo postbellico.

Questa massiccia attività edilizia arriva a realizzare quasi 1.000.000 metri cubi di edificato sulla riviera romagnola e circa 1.100.000 metri cubi sul versante tirrenico negli anni fra le due guerre mondiali.

 

Caratteri tipologici e figurativi della colonia fascista

La colonia prefascista si configurava come un ricovero ospedaliero, con ampi locali adibiti alle specifiche attività ambulatoriali e terapeutiche. A tale semplicità funzionale corrispondeva un altrettanto semplice assetto strutturale e formale, risolto, generalmente, secondo i consueti schemi compositivi dell’edilizia ospedaliera del XIX secolo.

Le nuove istanze funzionali e rappresentative affermatesi negli anni trenta determinano una radicale trasformazione dell’assetto formale, distributivo e dimensionale delle colonie. Il nuovo ruolo formativo e didattico comporta infatti la realizzazione di spazi per destinazioni d’uso diverse, come le aree per lo svolgimento di attività collettive sia all’aperto sia al chiuso, dimensionate per l’utilizzo da parte di “squadre” di bambini, nonché la suddivisione in aree dedicate alle funzioni residenziali (dormitori e mense) e aree per la didattica e per le attività di gruppo, la “parte speciale”, variamente sviluppata sulla base del programma dell’istituto.

Nonostante la crescente diffusione delle colonie, la Gioventù italiana del Littorio emana un solo regolamento nel 1937, che stabilisce una classificazione basata sull’estensione del periodo di utilizzazione, distinguendo tra colonie permanenti, temporanee e diurne. Nelle ultime due categorie rientrano tutte le strutture che ospitano bambini “fondamentalmente sani” e non presentano quindi moduli sanatoriali.

Negli anni trenta l’architettura delle colonie marine ha ormai raggiunto un’identità matura, che trasfigura in temi spaziali e figurativi schiettamente moderni il programma educativo del regime: organizzazione seriale degli spazi e dei motivi architettonici, unitarietà dei segni che stabiliscono un rapporto assoluto con il paesaggio, grandi dimensioni degli ambienti comuni, carattere “igienico” degli spazi inondati di sole e immersi nel verde.

All’intenso periodo di sperimentazione degli anni trenta fa seguito, nel 1942, la pubblicazione di un numero monografico di “Domus”, dove Mario Labò propone una classificazione tipologica delle colonie marine che distingue i tipi a “villaggio”, a “torre” e “monoblocco”, la “pianta aperta” con giustapposizioni e compenetrazioni asimmetriche di volumi e le “contaminationes”, dove si combinano strutture a sviluppo orizzontale e verticale.

 

Le mutazioni nella parabola del dopoguerra

Nel periodo postbellico la nuova realtà politica, sociale e culturale determina un mutamento radicale delle condizioni e delle ragioni alla base della realizzazione delle colonie estive sul territorio italiano. Oltre ai principi di profilassi, mutano radicalmente anche i programmi formativi, che vanno nella direzione di una valorizzazione della villeggiatura come esperienza individuale di crescita del fanciullo all’interno della vita di gruppo.

L’architettura delle colonie del dopoguerra esprime chiaramente questo cambio di paradigma. Se nelle colonie fasciste appare evidente il carattere autoritario dell’istituzione e la sua funzione educativa rivolta alle masse, i progetti successivi tendono a spezzare la dimensione unitaria dei volumi e dei grandi spazi collettivi, identificando gruppi più piccoli dove il bambino può facilmente trovare le condizioni favorevoli alla socialità e alla partecipazione.

La fase di declino delle colonie è innescata negli anni successivi dal boom economico, quando il benessere diffuso permette a fasce sempre più ampie della popolazione di accedere alla villeggiatura e il territorio costiero viene “colonizzato” dalle seconde case e dalle grandi strutture ricettive. La colonia marina come forma di vacanza condivisa riservata ai più piccoli sarà così progressivamente abbandonata a favore di una dimensione più individualistica della vacanza, ma legata alla diffusione di nuovi riti collettivi indotti dalla società del benessere.

 

Autore

  • Milena Farina e Francesca Lembo-Fazio

    MILENA FARINA. Nata a Roma (1977), si laurea nel 2002 all'Università di Roma Tre, dove è ricercatrice in progettazione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura. Nella sua attività di ricerca si occupa in special modo dello spazio dell’abitare nella città moderna e contemporanea. È autrice dei libri "Spazi e figure dell’abitare. Il progetto della residenza contemporanea in Olanda" (Quodlibet 2012) e "Borgate romane. Storia e forma urbana" (Libria, 2017). Nel 2008 ha fondato con Mariella Annese lo studio Factory Architettura. Dal 2004 collabora con "Il Giornale dell’Architettura". FRANCESCA LEMBO FAZIO. Nata a Roma (1987), nel 2013 consegue la Laurea Magistrale in Architettura-Restauro presso l’Università degli Studi Roma Tre. Nel 2017 consegue il Dottorato di ricerca in Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura (canale Restauro) presso Sapienza Università di Roma, dove collabora alla didattica nei corsi di Laboratorio di Restauro dei monumenti e di Conservation Design Studio (curriculum inglese). Autrice di numerosi articoli, nella sua attività di ricerca si occupa dell’analisi delle forme di tutela e di riuso delle rovine antiche nella Roma comunale del XIV secolo e del restauro dell’architettura moderna, dal fascismo alla ricostruzione postbellica.

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