Città africane di fondazione, tra geopolitica e finanza globale
Le molte città nuove recenti e la speculazione immobiliare. Fa eccezione (in parte) il caso di Konza Technopolis, in Kenya
Published 27 settembre 2023 – © riproduzione riservata
La concezione di città interamente nuove in Africa è da tempo tratto distintivo della ragion di stato postcoloniale. Il trasferimento della capitale della Nigeria da Lagos ad Abuja, nel 1991, rispose ad esempio alla visione di un governo centrale etnicamente neutrale e nazionalmente unito, portatore di sviluppo in quella che era considerata una delle regioni meno avanzate del paese. Yamoussoukro in Costa d’Avorio, Lilongwe in Malawi e Dodoma in Tanzania avevano seguito logiche simili, combinando ambizioni politiche contingenti con la necessità di sostituire vecchie capitali coloniali ritenute inadatte a progetti di unità nazionale.
Anche oggi nuove città pianificate da zero sono una forma importante di urbanizzazione nel continente. Esempi come la Nuova Capitale Amministrativa in Egitto, Appolonia City e ACEP (Accra Capital Expansion Project) in Ghana, Modderfontein new city e Lanseria smart city in Sudafrica, Akon City in Senegal, Peninsula City in Sierra Leone e Eko Atlantic, costruita su una striscia di terra sottratta al mare di Lagos, sono tutti casi significativi. Ma a differenza delle capitali post-indipendenza, queste nuove città satellite, secondo i loro critici, hanno meno a che fare con la ragion di stato e più con la creazione di mercati immobiliari speculativi.
Il mito della città di fondazione: meno politica, più neoliberismo
Definite come “fantasie urbane” dall’urbanista Vanessa Watson, queste nuove città delineano frontiere di opportunità per investitori domestici e internazionali. In Africa rappresentano il culmine della finanziarizzazione dello sviluppo urbano, “eterotopie neoliberali” le cui caratteristiche spaziali appaiono completamente distaccate dalle realtà che esse intendono rifuggire (informalità, sovraffollamento, povertà).
Seguendo il modello di altre regioni del mondo in rapida urbanizzazione, le nuove città africane sono sostenute da partenariati pubblico-privati e riflettono ambizioni di sviluppo smart e green che spesso si traducono solamente in operazioni pubblicitarie. In ultimo, come sostiene Tom Goodfellow, queste grandi realizzazioni urbane incentivano il dirottamento di capitale locale dai settori produttivi dell’economia alla meno produttiva speculazione fondiaria.
Tali linee di analisi critica mettono in luce tendenze generali che si riscontrano in molte città costruite da zero sul continente: in particolare, l’alleanza tra pubblico e privato nella realizzazione di espansioni urbane pianificate, volte al contempo a mobilitare meccanismi finanziari e promuovere specifiche agende politiche dello stato centrale. Tuttavia, né la finanza né l’arte del governo operano secondo logiche monolitiche. In ciascuna nuova città, si potrebbe dire, lo stato offre una distinta visione di se stesso attraverso le architetture speculative che soggiacciono alla sua costruzione. Dopotutto, come ci ricorda l’economista Thandika Mkandawire, lo stato angolano non assomiglia allo stato kenyota, ed è importante non appiattire sistemi politici e amministrativi differenti in un unico, generico “stato africano”.
Konza Technopolis: Silicon Valley africana con fondi internazionali (anche dall’Italia)
In questo senso è interessante il caso di Konza Technopolis, una città satellite attualmente in costruzione a circa 70 km dalla capitale del Kenya, Nairobi. Concepita come parte del piano di sviluppo nazionale lanciato nel 2008, Kenya Vision 2030, e successivamente inclusa nel masterplan nazionale del 2014, Konza Technopolis è una nuova città di 2.000 ettari su cui sorgerà una zona economica speciale per lo sviluppo dei settori dell’outsourcing (BPO) e delle tecnologie digitali.
A causa di una gestazione del progetto lunga e accidentata, molti commentatori hanno descritto Konza come una “promessa non mantenuta”. Se ciò non bastasse, lo sfavillante edificio destinato al ministero delle ICT è rimasto vuoto per molti anni, in bella vista dalla principale autostrada del paese. Ma a distanza di oltre un decennio, oggi non solo l’edificio è pieno di vita, popolato dai dipendenti dell’Autorità per lo sviluppo di Konza Technopolis (KoTDA), ma è anche circondato da gru e camion che punteggiano l’orizzonte dell’enorme cantiere per la futura città.
Come leggere Konza Technopolis, quindi? Si tratta indubbiamente di un progetto speculativo che, attraverso un programma statale di rilascio di valori fondiari, punta a ridirigere e a dare uno sfogo alla bolla immobiliare di Nairobi, creando opportunità di profitto in contee più marginali dove il ritorno sugli investimenti, dato il basso costo di acquisizione dei terreni, è colossale. Ma tale lettura trascura, forse, due prospettive più interessanti rispetto alla concezione di Konza Technopolis all’interno dell’agenda geopolitica del paese.
Da un lato, Konza Technopolis dovrebbe essere intesa come un tentativo sperimentale dello stato di attuare un programma di transizione economica basato sull’industria digitale e sui servizi avanzati (specialmente BPO). A questa specifica ragion di stato fu data una forma urbana a fine anni 2000, ma il progetto era in primo luogo un programma di trasformazione economica: un’ambiziosa transizione da un’economia dominata dall’agricoltura ad una sostenuta da industrie avanzate. Infatti, se si leggono i documenti e i report che diedero vita a Konza Technopolis, si osserva come la strategia di crescita economica di cui la nuova città si faceva attuatrice era solo incidentalmente legata alla valorizzazione immobiliare, centrata invece su una visione del Kenya come paese innovativo e industrializzato. Dall’altro lato, seppur intimamente legato a questo progetto di transizione economica, Konza Technopolis è anche un microcosmo dell’ambizione del Kenya, attraverso vari governi di diverso orientamento, di beneficiare di rivalità geopolitiche che oggi si contendono il mercato sempre più finanziarizzato della costruzione di nuove infrastrutture.
Il caso di Konza è esemplare: mentre la “smart grid” e il nuovo data center nazionale sono stati finanziati dal governo cinese e realizzati da Huawei attraverso un prestito concessionario, la costruzione di strade e fognature è stata affidata a un’impresa italiana (Gruppo ICM), con un prestito di Cassa Depositi e Prestiti. Nel frattempo, la diga di Thwake destinata a fornire acqua ed elettricità alla nuova città è stata finanziata dalla Banca Africana di Sviluppo, l’ampliamento della sezione dell’autostrada che collega Konza a Nairobi è stato parzialmente sostenuto dalla Banca Mondiale e dagli Stati Uniti e, infine, l’insediamento di una nuova università tecnica ha ricevuto supporto scientifico e finanziario dal governo sudcoreano.
In altre parole, nuove città africane come Konza Technopolis testimoniano certamente la bolla speculativa che caratterizza il mercato immobiliare nel continente, ma sono anche l’oggetto tangibile di altre ambizioni geopolitiche. Visioni il cui futuro rimane aperto.
In copertina, rendering di progetto di Konza Technopolis, in Kenya (fonte: konza.go.ke/)
Ricercatore Marie Skłodowska-Curie presso il Politecnico di Torino e l’Università di Cape Town, dove è membro dell’African Centre for Cities