Cina: vita dura per il Covid nelle Gated communities
Il modello urbano delle comunità recintate ha “naturalmente” assecondato le draconiane misure anti-contagio adottate dalle autorità
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Nonostante non sia la prima volta nella storia che i nostri spazi urbani e le nostre città vengono minacciati dal pericolo delle pandemie, la crisi sanitaria mondiale del 2020 ha messo in mostra ancora una volta il ruolo del disegno urbano nella gestione delle emergenze e, al tempo stesso, la fragilità delle città nel momento in cui vengono colpite da virus sconosciuti, come nel caso del Covid-19. Nella speranza di limitarne la diffusione, i governatori locali a livello mondiale si sono precipitati nell’attuazione di quelle che si sono dimostrate le più efficienti misure anti-contagio: la quarantena e il confinamento d’interi quartieri e città.
La Cina, da cui si è propagata la pandemia, è conosciuta non solo per le sue affollate metropoli, ma è anche il Paese in cui la tipologia della Gated community, il quartiere residenziale recintato, generalmente un blocco di grande scala con migliaia di abitanti, è stata da tempo adottata come strategia non solo per mantenere l’ordine sociale e garantire la sicurezza, ma anche per gestire la numerosa popolazione in caso di emergenze ambientali o sanitarie. Nel 2003, durante lo scoppio dell’epidemia Sars, le Gated communities, rafforzando le loro misure segregative, hanno giocato un ruolo fondamentale nella limitazione della diffusione del virus. Diciassette anni dopo, nonostante la Cina abbia registrato importanti transizioni e attuato considerevoli riforme a livello economico, sociale ed urbano, la logica delle comunità recintate ha persistito e si è addirittura rafforzata nel tempo. Tali unità territoriali ed amministrative, adottate tra l’altro da diversi gruppi sociali (formando così la cellula base del tessuto urbano), sono state da sempre favorite grazie alla loro efficienza nella gestione del complesso socio-spaziale. Infatti, la divisione della città in distinte micro-cellule, che marcano nettamente il territorio con la loro linea di confine, facilita non solamente la classificazione della popolazione e degli spazi urbani, ma aiuta soprattutto a mantenere una continua supervisione dello Stato, che può intervenire puntualmente alla scala del quartiere residenziale con specifiche misure di controllo in caso di emergenza.
Così, a seguito dell’annuncio ufficiale del pericolo virale da parte del governo centrale di Pechino il 20 gennaio, i governatori locali di quasi tutte le città cinesi, nell’atto di combattere a tutti i costi il virus, definito dal presidente Xi Jinping come “demonio”, hanno adottato importanti misure anti-contagio dichiarando lo stato di emergenza e ordinando la chiusura dei cancelli di tutti i quartieri residenziali. Non è difficile immaginare che le misure di confinamento sono state attuate da un giorno all’altro semplicemente bloccando le poche uscite presenti nei recinti dei quartieri residenziali. Generalmente, solo un membro per famiglia aveva il permesso di uscire dalla Gated community, e solamente dopo aver mostrato una tessera provvisoria distribuita dal comitato del quartiere di residenza. Perfino i campus universitari hanno ricorso a misure simili e rafforzato le guardie di sicurezza in prossimità delle entrate; per l’uscita dai confini del campus era necessaria una richiesta anticipata di un permesso, e comunque rispettando tempi precisi, in quanto passate le 24 ore si perdeva il diritto di rientro nella residenza universitaria.
Senza dubbio, le misure d’isolamento adottate dalla Cina sono state facilitate anche dal modello delle Gated communities, dimostrandone l’efficacia nel controllo e limitazione in tempi brevi della circolazione delle persone e, di conseguenza, della diffusione del virus. La relazione tra il disegno urbano e la gestione della sanità pubblica è stato sempre un tema di grande dibattito. Sebbene non vi siano principi o soluzioni definitivi da adottare quando le città vengono interessate da nuovi virus, l’importante ruolo giocato dalle comunità recintate durante le due emergenze sanitarie più critiche degli ultimi 17 anni in Cina, contribuirà molto probabilmente a favorirne l’ulteriore diffusione nelle città cinesi come modello vincente.
Immagine di copertina: due guardie sorvegliano l’entrata di una Gated community nel distretto di Haidian a Pechino (© Badiaa Hamama, 2019)
Nata in Marocco, vive tra l’Italia e la Cina, dove attualmente svolge una ricerca di dottorato alla Tsinghua University di Pechino. E’ membro del team cinese nel progetto Europeo Horizon 2020, TRANS-URBAN EU-CHINA. Nel 2017 ottiene la doppia Laurea in Architettura Costruzione Città con una tesi in collaborazione con il Politecnico di Torino e la Tsinghua University. Un suo primo articolo, in collaborazione con Ni Anqi, è stato pubblicato nel libro La descrizione del mondo. Reportage immaginari della città asiatica a cura di Michele Bonino e Filippo De Pieri.