Chiesa open air

 

Come celebrare adeguatamente nel distanziamento? In uno spazio determinato esclusivamente dalla presenza delle persone, la sua organizzazione e il loro comportamento diventa immagine immediata della Chiesa. Riflessioni a partire da un volume appena pubblicato

 

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Durante il lockdown ogni individuo è stato chiamato a setacciare la propria casa in cerca di uno spazio per lavorare, giocare e, anche, finalmente, riflettere e pregare. L’obbligo alla sedentarietà, la ricorsività dei gesti quotidiani, il nuovo protagonismo della morte su tutti i media hanno reso nuovamente urgente la produzione di un orizzonte di senso sull’esserci e sul suo oltre. L’epidemia ha costretto le autorità religiose di qualsiasi fede a limitare gli accessi ai luoghi di culto, invitando alla preghiera domestica e suggerendo un percorso di fede 2.0 per incontri e celebrazioni online. In ambito cristiano, Liturgia e new media è anche il tema dell’ultimo numero della prestigiosa «Rivista liturgica» (gennaio-marzo 2020), riflessioni d’obbligo alla luce delle liturgie dell’ultima Pasqua, condivise su facebook o zoom dalle singole comunità parrocchiali o trasmesse in mondovisione da una piazza San Pietro inedita, deserta, dominata dall’immagine monumentale – e per più aspetti rappresentativa – di un papa che la attraversa da solo.

La fase 1, di rigida quarantena, ha tentato di riportare la liturgia nelle case, con iniziative diverse secondo la sensibilità dei pastori, e fedeli e famiglie talvolta un po’ imbarazzati per i gesti e per i ruoli da interpretare all’improvviso, senza una specifica preparazione, segno che il Concilio Vaticano II continua a pesare meno di 1.500 anni di accentramento. La fase 2 si è aperta con la polemica di qualche vescovo che nel prolungamento del divieto di celebrazioni pubbliche vedeva pregiudicata la libertà di culto: in realtà il Governo aveva mantenuto chiuse le chiese al pari degli stadi, ventilando un pericolo di assembramento che sarebbe stato, semmai, lusinghiero per la Chiesa cattolica. Purtroppo, però, negli ultimi vent’anni i praticanti si sono pressoché dimezzati, come riporta un recente studio di Franco Garelli (Gente di poca fede, il Mulino, 2020). Appurato che l’apertura delle chiese interessa oggi meno di un quarto degli italiani, con uno sbilanciamento tutto al Sud (cfr. Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, il Mulino, 2011), il tema resta quello di adeguare le aule.

Per il profilo sanitario è intervenuto il Protocollo per la ripresa delle celebrazioni con il popolo cattolico, firmato dal presidente del Consiglio, dal presidente della CEI e dal ministro dell’Interno, entrato in vigore il 18 maggio 2020. Il documento ha inevitabili implicazioni sulla percezione dello spazio di culto e, quindi, sulla liturgia. Ad accogliere nelle chiese non vi saranno le acquasantiere ma gli impianti d’igienizzazione per le mani, non un diacono o un ministrante ma un addetto sanitario con proprio abito distintivo. Sedute rarefatte, comunione offerta con guanti in lattice, questua assente, scambio della pace senza contatto e senza la pacificazione che esprime la stretta di mano, nessun sussidio per i canti o per seguire la liturgia.

Se tanto basta ad assolvere il precetto sanitario, non è scopo del documento stabilire come assolvere quello festivo, ossia come celebrare adeguatamente nel distanziamento. A questo soccorre un inserto speciale della «Rivista di pastorale liturgica», Modelli di chiesa all’aperto. Quattro figure dell’incontro nel distanziamento, volumetto scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore Queriniana e curato da un team di architetti e liturgisti già noti per le loro ricerche sullo spazio sacro (Tino Grisi e Francesca Leto, Angelo Maria Alessio e Silvia Tarantelli). La liturgia open air non è certo una novità nella Chiesa: basti ricordare l’esperienza diffusa di molti gruppi giovanili e le liturgie papali in piazza San Pietro o in occasione delle giornate mondiali della gioventù. Intorno alle architetture effimere per celebrazioni all’aperto già si raccoglie una bibliografia specializzata di contributi recenti (Esteban Fernandez Cobian, Allestimenti temporanei per celebrazioni comunitarie, in Claudia Manenti, Architettura delle chiese provvisorie, 2016; Andrea Longhi, Effimere, temporanee, profane? Architetture per l’evangelizzazione, oltre l’architettura, in «Arte cristiana», marzo-aprile 2014). Modelli di chiesa all’aperto rinuncia invece ad ogni evidenza architettonica. Sola suppellettile recensita un altare mobile, in appendice.

All’aperto, la forma dello spazio di culto è davvero solo il prodotto della disposizione ordinata degli uomini e delle donne che compongono l’assemblea, in stretta aderenza al tempio di pietre vive di cui scrivono sia Paolo (1Cor. 3,17) che Pietro (1Pt. 2,5). La celebrazione open air non è una novità nemmeno nell’ambito della pandemia, ove disegna però un quadro distopico: dalla liturgia sul lungolago a Germignana (Varese) o in piazza a Città della Pieve (Perugia), alla messa celebrata in Francia a Chalons-en-Champagne in stile drive-in con 500 fedeli a bordo di 200 automobili debitamente distanziate, eco delle celebrazioni del pastore Robert Schuller prima del faraonico progetto e dell’erezione della Crystal Cathedral da parte di Philip Johnson e John Burgee a Garden Grove, presso Los Angeles. Modelli di chiesa all’aperto si situa dunque a uguale distanza da soluzioni estemporanee od ostentative, per proporre figure colte del celebrare, eredità del Movimento liturgico e, particolarmente, dell’esperienza di Romano Guardini a Rothenfels, in Germania. Lo denunciano la copertina [nell’immagine di apertura], riproduzione dello schizzo di Emil Steffann per la processione del Corpus Domini a Lubecca (1932), e soprattutto gli schemi proposti per la liturgia, la cui radice è ancora nel volume Vom Bau der Kirche di Rudolf Schwarz (1947).

Paradossalmente, le quattro dinamiche liturgiche presentate nel volume, nella distanza profilattica imposta dal contagio, indicano vie per migliorare il celebrare insieme e per incrementare la consapevolezza dei fedeli rispetto al proprio ruolo: non di spettatori, ma di soggetti con-celebranti. Forse i mesi di pandemia saranno più efficaci degli anni trascorsi dal Concilio nel determinarne la sua inculturazione? Certo è che in uno spazio determinato esclusivamente dalla presenza delle persone, la sua organizzazione e il loro comportamento diventa immagine immediata della Chiesa, nella concreta possibilità di replicare schemi e gerarchie abituali, o di fare della pandemia un laboratorio per ripensare la forma dello stare insieme di fronte al mistero.

 

Autore

  • Luigi Bartolomei e Federica Fuligni

    Luigi Bartolomei, nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È membro del comitato di redazione de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”. Federica Fuligni, laureata in Ingegneria edile - Architettura nel 2016, svolge attività libero professionale e collabora con il Centro studi Cherubino Ghirardacci per progetti di analisi e valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico. Presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna è assistente alla didattica nel corso internazionale Landscape Education for Democracy.

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