Campus per le scienze mediche: 5 temi per 5 casi studio

Campus per le scienze mediche: 5 temi per 5 casi studio

Lo stato dell’arte per la progettazione degli spazi universitari attraverso alcune realizzazioni internazionali

 

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Published 05 giugno 2023 – © riproduzione riservata

Nel dibattito pubblico che accompagna il processo, ormai ventennale, di progettazione del Parco della Salute, della Ricerca e dell’Innovazione di Torino, la riflessione sugli spazi del nuovo ospedale ha ricoperto un ruolo di primo piano. Meno si è detto sul nuovo Campus di Medicina e Ingegneria biomedica che dovrebbe sorgere sull’area e che vede coinvolte le due maggiori istituzioni universitarie torinesi (Università e Politecnico).

Il progetto (ancora agli inizi) del nuovo polo universitario apre a molti interrogativi: come si disegna un campus per le scienze mediche incastonato nel tessuto urbano? Quale modello d’insediamento permette di organizzare il sistema di relazioni tra le attività ospedaliere e quelle della didattica e della ricerca universitaria? A quali sfide dovranno rispondere gli spazi del campus per l’università del domani?

Domande oltremodo legittime, se si osserva quanto rapidamente e radicalmente siano mutati gli spazi universitari per le scienze mediche in tutto il mondo. L’accesso a strumentazioni tecniche sempre più sofisticate, gli approcci alla ricerca basati sull’intersezione tra discipline, l’introduzione di nuove forme di didattica, come quelle basate sulla simulazione medica avanzata o sull’interactive digital learning, sono tra i principali fattori che stanno orientando un profondo ripensamento delle strutture universitarie dei maggiori poli di formazione medica a livello internazionale.

Per contribuire alla discussione sul progetto, abbiamo individuato 5 questioni, e altrettanti casi studio, viaggiando tra New York, Copenaghen, Cleveland, Stoccolma e Stanford.

 

L’università come ecosistema: tra specialismo e multidisciplinarietà

Al cambiamento nei percorsi formativi e di ricerca per le scienze mediche corrisponde, da un lato, un bisogno crescente di spazi progettati per ospitare attività e strumentazioni tecniche altamente specializzate, dall’altro l’introduzione di ambienti per promuovere l’interazione tra discipline. Questa dualità costituisce una sfida da affrontare alle diverse scale del progetto: nell’organizzazione degli spazi nel singolo edificio attraverso diversi gradi d’intimità e nell’equilibrio tra autonomia e condivisione tra gli edifici del campus. Il Sheila and Eric Samson Pavilion, di Foster + Partners, inaugurato nel 2019 a Cleveland, è un chiaro esempio di edificio progettato per un complesso ecosistema universitario. La struttura riunisce sotto un unico tetto i programmi di formazione medica, infermieristica e odontoiatrica della Case Western Reserve University e del Cleveland Clinic Learner College. Sul perimetro dell’edificio sono collocati gli spazi specifici e identitari di ogni scuola, che necessitano di maggiori gradi di autonomia e controllo. Il cuore dell’edificio è invece un grande spazio coperto, luogo d’incontro informale per incoraggiare lo scambio tra discipline e distribuire i servizi condivisi dalle diverse scuole.

 

Progettare la diversità, il campus per una società delle competenze: verso un ambiente di apprendimento basato sul progetto

Una sfida dei campus per le scienze mediche è accogliere un ventaglio sempre più ampio di attività e modalità di apprendimento: basate sull’osservazione, sulla risoluzione di problemi (problem-based o inquiry-based learning), su attività pratiche individuali e di gruppo o, ancora, supportate da tecnologie di simulazione o sistemi virtuali immersivi. Stanze virtuali per l’interazione con i medici e con modelli digitali, o laboratori di simulazione per far pratica degli interventi sono solo un esempio di nuovi tipi di ambienti di cui si attrezzano le università per la formazione medica. In questa cornice, quanto mai aperta e mutevole, assumono un ruolo sempre più rilevante le forme di apprendimento attivo ed esperienziale, che privilegiano attività di progetto alle lezioni frontali, e si misurano con la trasposizione delle conoscenze in competenze. Emblematico è in tal senso il Roy and Diana Vagelos Education Center: una torre in vetro, cemento e acciaio, costruita nel 2016, che integra le attività accademiche di 4 facoltà mediche del Columbia University Medical Center di New York. Il principio di flessibilità è stato interpretato dai progettisti Diller Scofidio + Renfro non attraverso una sequenza di ambienti liberi e riconfigurabili nel tempo, ma piuttosto come un insieme di spazi eterogenei in grado di rispondere alle più diverse esperienze didattiche, favorendo diversi gradi e forme di collaborazione e apprendimento autonomo. Ogni piano si sviluppa con una configurazione diversa, ospitando un centro avanzato di simulazione clinica, quartieri accademici ad alta tecnologia, un auditorium polivalente, spazi per focus group e per lo studio individuale.

 

L’università come spazio sociale: progettare l’interazione

Progettare un campus per le scienze mediche significa pensare ad un luogo di studio, lavoro e servizio alla comunità accademica. Lo scopo è ospitare un insieme di pratiche che trascenda le demarcazioni tra studenti e docenti, tra teoria e pratica, tra discipline accademiche e pratiche professionali. Consapevoli di questa dimensione sociale dell’università sono i numerosi progettisti che si sono alternati nel processo di trasformazione del Campus di Solna del Karolinska Institutet di Stoccolma. Il campus si compone di una serie di edifici indipendenti costruiti a partire dagli anni quaranta per le attività dei diversi dipartimenti. Negli ultimi 15 anni i cambiamenti nelle modalità di lavoro e la crescente importanza dell’interdisciplinarietà hanno portato ad un ripensamento degli spazi di connessione che giornalmente vengono percorsi da professori, ricercatori, studenti per spostarsi dai reparti ospedalieri agli ambienti accademici. Il progetto Future Learning Environment di Tengbom, avviato nel 2009, si concentra sui luoghi di passaggio, capovolgendo la tradizionale lettura gerarchia tra spazio servito e servente. Gli spazi di transizione si posizionano così al centro del progetto, attraverso il ridisegno del sistema delle aree distributive e interstiziali tra gli edifici, come insieme dei luoghi d’incontro spontaneo per la socializzazione. Questo principio, riconoscibile in molti dei più recenti cantieri dell’università, è particolarmente leggibile nel Biomedicum di C.F. Møller Architects, inaugurato nel 2018, che riunisce i laboratori di ricerca di diversi dipartimenti (dalla biologia molecolare alla farmacologia, dalla microbiologia alla biochimica) e li riorganizza intorno a una piazza coperta centrale che funge da catalizzatore per la collaborazione trasversale tra discipline.

 

Live-work buildings

Per studenti, ricercatori, professori, medici e pazienti i poli universitari-ospedalieri non sono solo un insieme di aule, laboratori e servizi, ma sono i luoghi dove essi vivono la maggior parte della propria giornata. L’attenzione verso la salute e il benessere degli utenti costituisce un tema quanto mai attuale, che si misura anche attraverso l’introduzione di spazi per il riposo, palestre e servizi per lo sport e la ricreazione, caffetterie e luoghi d’incontro informale. Un approccio orientato al benessere dei fruitori ha guidato il progetto del Center for Academic Medicine della Stanford University School of Medicine, inaugurato nel 2021 su progetto di HOK Group. Il centro, collocato all’intersezione tra il campus accademico e quello clinico, è pensato per accogliere in un’unica sede il personale che lavora nei vicini ospedali, laboratori e università. L’edificio contiene spazi di riposo, ristoro e ricreazione, oltre a sale riunioni, conferenze e uffici, a servizio del personale e aperti 24 ore su 24. Il complesso è progettato in continuità con un grande parco, e include un’ampia varietà di ambiti volti a promuovere il benessere psicofisico e stimolare l’interazione tra gli occupanti e l’ambiente naturale.

 

L’università come piattaforma pubblica: aprire il campus alla comunità

Un aspetto centrale nel dibattito sui campus universitari riguarda il riconoscimento della centralità della loro dimensione pubblica. Ben lontani dall’immagine di torri d’avorio isolate rispetto al mondo, sono molte le università a livello internazionale che ripensano spazi e servizi nella prospettiva di un’apertura alle comunità esterne. Piazze, parchi, hall, auditorium si trasformano in palcoscenico e arena pubblica: permettono di mettere in mostra le attività di didattica e ricerca, organizzare presentazioni e lezioni, condividere i risultati accademici con una comunità allargata. Lo spazio può costituire, in questo quadro, uno strumento per supportare attività di comunicazione e scambio, favorendo circuiti virtuosi con le pratiche di comunità e territori, anche nella prospettiva d’incentivare sistemi di formazione continua. La Maersk Tower, costruita nel 2017, è un esempio di come lo spazio possa declinare l’ambizione pubblica dell’università medica. Firmato dallo studio C.F. Møller Architects come estensione della Faculty of Health and Medical Sciences della University of Copenaghen, il progetto valorizza il carattere distintivo dell’architettura e investe su una nuova identità, altamente riconoscibile, per l’università. La torre di 15 piani ospita strutture per la ricerca e l’insegnamento e si appoggia su un’ampia piattaforma orizzontale che accoglie spazi e servizi comuni, protesa verso la città per costruire un legame con il territorio circostante. Il piano terra costituisce uno spazio aperto, trasparente e dinamico, in diretta relazione con il sistema di piazze e percorsi del parco, che invita la collettività ad entrare nell’edificio e partecipare alla vita della comunità accademica.

 

Immagine di copertina: Maersk Tower, University of Copenhagen’s Faculty of Health and Medical Sciences  (2017, C.F. Møller Architects, © Adam Moerk)

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