Building export, la Cina alla campagna d’Africa
Il caso dell’Etiopia, con la nuova ferrovia tra Addis Abeba e Djibouti che traina i piani di sviluppo urbano e industriale: quasi tutto in mani cinesi
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Una rinata rotta commerciale
Gli ultimi dati del 2019 sugli investimenti diretti esteri, pubblicati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e sviluppo (UNCTAD), mettono in luce il ruolo centrale della Cina all’interno dell’economia etiope. Gli investimenti cinesi in Etiopia hanno rappresentato circa il 60% degli investimenti esteri totali dell’ultimo anno, andando a interessare principalmente il settore manifatturiero. A questi si aggiungono gli investimenti milionari nel settore delle infrastrutture, culminati nel progetto e costruzione di un’estesa rete orientata al potenziamento delle importazioni ed esportazioni internazionali lungo corridoi logistici che direzionano le merci verso il porto di Djibouti. È da qui che la maggior parte delle merci transitano da e verso l’Etiopia, trasformando il territorio in un corridoio strategico per le economie di entrambi i Paesi.
Il successo di questa rotta commerciale risale al passato coloniale, quando, alla fine del XIX secolo, i francesi fondarono la Compagnie impériale des chemins de fer Ethiopiens, alla quale si deve la prima infrastruttura ferroviaria d’Etiopia, garantendo così un accesso diretto verso il mare all’impero di Menelik. Parallela al tracciato dell’infrastruttura coloniale, ormai caduta in abbandono, una nuova ferrovia a scartamento standard ha ripristinato il collegamento tra le due capitali del Corno d’Africa. Il progetto della ferrovia rientra tra le azioni promosse dalla Belt and Road Initiative del governo cinese: un piano d’investimenti infrastrutturali atti a stimolare la crescita economica nei territori attraversati dalla nuova Via della seta.
Negli ultimi anni, la Cina ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo delle grandi opere infrastrutturali sul continente africano, diventando uno tra i principali soggetti finanziatori e luogo di provenienza della maggior parte delle imprese che operano sul continente. Il caso etiope è esemplificativo: l’ammontare del prestito concesso dalla Exim Bank e da altri due istituti cinesi allo stato africano è pari a 3 miliardi di dollari, e sempre cinesi sono le imprese che hanno costruito la ferrovia: la China Civil Engineering Construction Corporation e la China Railway Engineering Corporation, due tra le più grandi imprese di costruzioni specializzate nelle infrastrutture.
La nuova ferrovia è un elemento cruciale nell’ambizioso piano di sviluppo economico per il rilancio del Paese, che prevede misure di stimolo nel settore industriale e delle costruzioni, quali la realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto e di parchi industriali connessi ad esse. Nonostante la grandiosità dell’opera, da un punto di vista sia tecnico che strategico-territoriale – a cui si aggiunge l’estesa propaganda politica che la trasforma nell’infrastruttura simbolo del “rinascimento etiope” – il viaggio sul nuovo treno è un chiaro richiamo alla realtà. Lungo il percorso di circa 800 km, il treno attraversa campi di teff (il cereale usato nella preparazione del pane tipico) e vaste aree disabitate, incontrando ancora pochi centri cittadini. Sono esigue le tracce materiali del tanto promesso sviluppo urbano, poiché per ora sembra essere iniziata una fase in cui si gettano le basi – o, in questo caso, le infrastrutture – per il futuro sviluppo. Secondo i dati della Banca mondiale, nel 2018 solo il 21% degli abitanti della nazione viveva in aree urbane, includendo così l’Etiopia tra gli ultimi Paesi al mondo nella corsa all’urbanizzazione. L’attuale governo ha portato stabilità, attuando alcune importanti riforme. Tuttavia, per la maggior parte del suo mandato, ha fortemente trascurato lo sviluppo delle aree urbane, prediligendo invece il settore primario con misure di sostegno ai redditi rurali.
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Lo sviluppo delle città: il caso di Dire Dawa
Va tuttavia rilevato che, da metà anni 2000, l’attenzione si è gradualmente spostata verso le città. Il governo etiope ha prefigurato, di fatto, un processo di sviluppo simile a quello cinese, puntando su politiche che incentivino l’urbanizzazione, la fornitura di alloggi statali, la costruzione di nuclei produttivi e reti infrastrutturali. Città come Dukem e Dire Dawa, entrambe situate lungo la linea ferroviaria, e tra le dodici riconosciute come principali poli di crescita dal Growth and Transformation Plan II, si stanno espandendo più velocemente di Addis Abeba ed avranno l’opportunità di avviare un modello di sviluppo che associa urbanizzazione e industrializzazione, raramente riscontrabile nel continente africano.
Nelle nuove aree di espansione e nei pressi delle stazioni, iniziano a insediarsi centri manifatturieri e per la logistica. Questi possono essere interpretati come i primi segni tangibili di un futuro prefigurato sulla carta, del quale riusciamo a cogliere solamente alcuni aspetti generali, a causa della scarsità di documenti resi pubblici. Gli scenari immaginati nei rendering riflettono quell’idea positivista di sviluppo che mescola previsioni di crescita urbana, analoghe a quelle delle nuove città cinesi, con un’estetica green e high tech in cui verde e infrastrutture diventano gli elementi strutturanti del nuovo.
Dire Dawa, a metà strada tra Djibouti e Addis Abeba, è una delle città in cui si possono osservare i primi effetti spaziali delle politiche di sviluppo economico: è la fermata principale della nuova infrastruttura ferroviaria ed è sede di uno tra i più grandi parchi manifatturieri realizzati fino ad oggi. La nuova stazione sorge a circa 10 km dalla città storica: un edificio monumentale che si erge su un paesaggio abitato da pochi altri edifici e segnato da ampie superfici pavimentate, parcheggi e nastri di asfalto che iniziano a delimitare i diversi lotti del nuovo insediamento. La stazione segue gli schemi distributivi delle sorelle cinesi, con la biglietteria e i servizi che occupano i volumi ai lati dell’ampia sala passeggeri. Il risultato è un mix di elementi architettonici che riecheggiano estetiche orientali e high tech: porticati e fregi arabeggianti si combinano a facciate continue in vetro riflettente ed elementi prefabbricati.
La nuova stazione è parte del masterplan cinese che farà di Dire Dawa la prima Special Economic Zone etiope, immaginata come una città con un’estensione di oltre 200 kmq, 103 dei quali costruiti entro il 2045. Il progetto prevede lo sviluppo di una città policentrica, interconnessa nelle sue diverse parti grazie alle molteplici infrastrutture previste per movimentare flussi di merci, persone, acqua e informazioni.
Tuttavia, se l’area della stazione è costellata da svariati cantieri del parco industriale e dei primi insediamenti, altre aree sono ancora vuote, senza traccia alcuna di nuove costruzioni. Il territorio delle nuove espansioni infrastrutturali si articola come una superficie punteggiata da aree aventi diversi livelli di connettività e differenti concentrazioni di capitali. Un’atmosfera di estraneità e di distacco pervade il paesaggio e rende evidente il carattere esogeno sotteso da tali logiche di sviluppo urbano. Resta ancora molto da fare, se si vuole rendere questi processi più inclusivi e integrati con la specifica realtà dei luoghi. Questa è la sfida cui dovrà rispondere l’Etiopia nei prossimi anni, prefiggendosi come obiettivo uno sviluppo più equo e sensibile alle esigenze delle comunità locali.

Studia architettura presso lo IUAV di Venezia, la Chalmers University of Technology di Göteborg ed il Politecnico di Torino, dove si laurea nel dicembre 2015 con una tesi sul cambiamento climatico e sule possibili strategie di progetto per la città di Göteborg. Dopo l’esperienza lavorativa presso UN-Habitat (Nairobi) e la collaborazione con l’Architetto Subhash Mukerjee, si iscrive al dottorato di ricerca al Politecnico di Torino all’interno del laboratorio interdipartimentale FULL, indagando il tema della recente urbanizzazione in Est Africa. È assistente alla didattica per il corso di progettazione “Design within the limit of scarcity” all’interno della Laurea Magistrale Architettura per il Progetto Sostenibile