Bucci: la mia Genova, forte e coesa, con le idee chiare sul futuro

Bucci: la mia Genova, forte e coesa, con le idee chiare sul futuro

 

Con grande pragmatismo, il sindaco fa il punto sull’iter di ricostruzione del ponte e sugli altri progetti di trasformazione urbana

Leggi tutti gli articoli dell’inchiesta “Genova e il fantasma del ponte Morandi”

Marco Bucci, sindaco di Genova eletto nel giugno 2017, racconta al Giornale lo stato del progetto di ricostruzione del nuovo viadotto sul Polcevera, le aspettative e la visione della città futura. Lo abbiamo incontrato all’interno di quel capolavoro architettonico degli uffici comunali progettati da Franco Albini nel 1964.

Lei ha tre ruoli: sindaco di Genova, sindaco della Città metropolitana e commissario alla ricostruzione del viadotto sul Polcevera. Come riesce a conciliare tutto?

Bella domanda. La legge dice che il sindaco di Genova è anche sindaco della Città Metropolitana e, quando mi hanno offerto di fare il commissario, che cosa avrebbero pensato i genovesi se avessi rinunciato. Il sindaco deve prendersi delle responsabilità…

Il crollo del viadotto ha evidenziato le fragilità della città ponendoci di fronte ad un nuovo scenario urbano. Ma il crollo è la metafora del crollo della modernità e dell’ottimismo del dopoguerra.

Io non so cosa voglia dire con queste frasi. Il crollo del viadotto ha dimostrato la forza della città che si è ripresa molto bene e in fretta, costruendo e mettendo molte idee e cose nuove al servizio della collettività. Quindi abbiamo dimostrato la coesione di Genova.

Seppure nella sua tragicità, il crollo poteva fornire un’occasione per ripensare il rapporto tra mobilità e territorio, per Genova così come per la regione. Questo non è avvenuto perché lei ha adottato la strategia della velocità come sinonimo di efficienza.

Risolvere un problema in modo veloce ed efficace vuol dire contribuire al sistema alla macro-scala, che prevede il Terzo valico, la Gronda, il nuovo nodo ferroviario, il PUMS (Piano urbano mobilità sostenibile). Tutto questo sta andando avanti indipendentemente dal ponte. Infatti, secondo me, il ponte non ha nulla a che vedere con il piano generale della città per quanto riguarda il suo incremento infrastrutturale. Se invece parliamo del porto abbiamo la grande diga, i nuovi moli, i dragaggi, l’infrastruttura digitale, il progetto del retroporto di Alessandria che sarà connesso, attraverso il Terzo valico, con Genova. L’idea, la visione, la strategia e i piani ci sono…

Nei contesti internazionali si sarebbe adottato lo strumento del concorso di progettazione, come nel noto caso francese del viadotto di Millau, opera di Norman Foster. Anche Renzo Piano, nell’intervista a noi rilasciata, ha ribadito che la strada del concorso sarebbe stata perseguibile senza alterare i tempi. Perché non lo ha adottato?

Intanto in America non è così: quando cade un ponte si costruisce velocemente, ed è un po’ diverso da come dice lei. Noi non abbiamo fatto un concorso ma un’indagine di mercato; sono arrivati venticinque progetti redatti da architetti diversi.

Lei ha spesso citato come il crollo sia stato il “Ground Zero” di Genova. Però, quando è stato ricostruito Ground Zero, la Port Authority ha indetto un concorso…

Diciamo che l’urgenza era diversa…

Anche il numero delle vittime era diverso: 2.974 rispetto alle 43 di Genova…

Il concorso non c’entra con le vittime, non confondiamo le cose. L’urgenza deriva dalla criticità dell’infrastruttura. Le Torri gemelle non erano un’infrastruttura e ci sono esigenze diverse. Io ho visto crollare a Minneapolis il ponte sul Mississippi, e lì si è verificata un’urgenza terribile. Tra l’altro si trattava di un ponte più facile di questo, più basso e con le isole in mezzo.

L’artista americano Peter Fend, che sta partecipando alla mostra “Filling the absence” sul post crollo, ha evidenziato come la Cina stia costruendo la ferrovia in Africa, ipotizzando Genova come porto/porta dell’Africa in Europa, a tal punto che il trasporto su gomma risulterà obsoleto.

Spero solo che ci sia un incremento del trasporto merci, perchè oggi è basso: siamo al 15-20%, e voglio che arrivi al 50%. Ciò consentirebbe una diminuizione dell’inquinamento e dei costi, con quelli sui treni inferiori a quelli su gomma.

Rotterdam viene sempre citata come riferimento e competitor del porto di Genova, ma gli olandesi hanno conquistato spazio al mare. L’insistere sul centro cittadino delle attività portuali non può essere dannoso? Infatti, se quelle aree fossero libere e destinate al traffico crocieristico, si potrebbero ridurre gli effetti del trasporto su gomma. Che cosa ne pensa?

Questa proposta la sposerei immediatamente, ma il problema è che gli olandesi hanno molto più spazio di noi, che invece ci troviamo i monti a ridosso. Allo stesso tempo, essi hanno una grande fortuna e sfortuna, ovvero i bassi fondali. Se da un lato ampliarsi sul mare è facile, dall’altra devono dragare i fondali. Qui invece ci sono alti fondali; tuttavia, espandersi costa molto, e più ci espandiamo in mare più si avverte un problema legato al turismo e ai cittadini, come accaduto recentemente con la proposta di spostare i depositi costieri (riservati alla movimentazione e stoccaggio di rinfuse liquide), determinando problemi di vivibilità urbana. Così, bisogna trovare la giusta soluzione “win-win” per tutti.

Nella gestione del nuovo progetto del viadotto è assente il dibattito pubblico. In Europa i progetti di grandi trasformazioni urbane vengono presentati ai cittadini, ai quali è consentito un monitoraggio continuo. A Genova non è successo, si è preferito delegare agli organi di stampa.

Con grande piacere la smentisco totalmente, perché verrà installato un infopoint con display per seguire i lavori in diretta. I dibattiti con i cittadini li abbiamo promossi ogni settimana; anche tutta la componente tecnica ha partecipato con la struttura commissariale. Noi ci aspettiamo la partecipazione attiva e non il contrario: la comunicazione avviene attraverso i media in one way; se vogliono la comunicazione nell’altro modo occorre che qualcuno venga a parlare, altrimenti non funziona.

Lei ha ereditato una serie di progetti attuati in periodi storici diversi dalle precedenti amministrazioni politche, dalla Gronda al Blueprint: quale è la sua visione di città?

Ci sono 14 miliardi di progetti, di cui 5 miliardi per la Gronda e 1 miliardo per la diga foranea. Questi progetti sono la visione di città che ho già detto prima: il nodo ferroviario, la diga portuale e i dragaggi, il PUMS, la cabinovia che vogliamo costruire dalla stazione marittima a Forte Begato a scopo turistico, i parcheggi d’interscambio… Noi vogliamo che Genova diventi un riferimento per le altre grandi città europee, dove insieme alla facilità di spostamenti, di lavoro e di vita c’è anche la porzione culturale e architettonica.

*Articolo pubblicato in collaborazione con archphoto.it

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"