Carcere di Halden in Norvegia, edificio per gli incontri familiari collocato nel bosco all’interno dell’area detentiva (vista del soggiorno)

L’architettura è anche cura dei legami

L’architettura è anche cura dei legami

 

Gli spazi pensati per mantenere gli affetti famigliari e i rapporti con il mondo esterno. Le lacune della situazione italiana

 

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I diversi strumenti internazionali e la più recente giurisprudenza europea in materia di esecuzione penale sanciscono la necessità fondamentale di mantenere i legami familiari e i rapporti con il mondo esterno al carcere, da parte delle persone detenute. Consapevoli del beneficio che tale condizione apporta nell’ottica della reintegrazione dei detenuti nella sociètà, evitandone così forme d’isolamento, alienazione ed esclusione, le nazioni hanno adottato ordinamenti penitenziari rispettosi del diritto inalienabile all’affettività della persona detenuta.

Nella realtà, ecco come generalmente si configurano gli spazi del carcere destinati a soddisfare questo diritto inalienabile. Sale di attesa, per le persone in visita ai propri congiunti, collocate in prossimità dell’ingresso del carcere. Nei migliori dei casi esse sono organizzate per dare sostegno pratico al visitatore, intrattenere e preparare i bambini all’incontro con il genitore detenuto e, a volte, comprendono aree verdi attrezzate per i giochi dei bambini; non sempre i loro accessi dalla pubblica via offrono un riparo adeguato dalle intemperie e condizione di privacy. Sale colloqui, ove trascorrere il tempo limitato del colloquio all’interno dell’area detentiva vera e propria, con il controllo visivo e/o auditivo del personale di sorveglianza, per lo più seduti intorno ad un tavolino. Un caso a se stante è rappresentato dai colloqui in regime di sicurezza, che si svolgono attreverso una schermata trasparente che non consente contatti diretti fra le persone. Sono possibili aree verdi simili a quelle pubbliche urbane, dove trascorrere un tempo più prolungato dell’incontro. Locali diversamente denominati a seconda della nazione di appartenenza (“Spazi per l’affettività”, “Unitè de vie familial”, “Àrea de comunicacions familiares e íntimes”, ecc.) all’interno del carcere, dove incontrarsi – per un tempo massimo di 72 ore – con i congiunti, senza il controllo visivo e/o auditivo del personale di sorveglianza. Le soluzioni tipologiche vanno dal monolocale o bilocale attrezzato con angolo cottura, alla sola camera da letto per due, con annesso servizio igienico e in alcuni casi terrazza o giardinetto. Istituti o Sezioni per madri detenute con prole fino ai sei anni di età, tendenzialmente concepite per soddisfare le esigenze esistenziali specifiche degli ospiti.

Per quanto riguarda l’Italia, le carceri dispongono di tali dotazioni. Tuttavia, i loro limiti architettonici riguardano gli edifici penitenziari che li ospitano: spazi concepiti per “contenere”, per nulla attenti a soddisfare i bisogni materiali e psicologici relazionali dell’utenza. Negli ultimi anni, sulla base del dettato normativo (D.P.R. 230/2000), ancora ampiamente disatteso a distanza di un decennio, e su indicazione della Commissione ministeriale per la riorganizzazione della quotidianità detentiva del 2013, si è avviato l’adeguamento delle sale di attesa e delle sale colloqui, in un’ottica più attenta alla presenza dei figli minori. In tali circostanze, in alcune carceri, sono stati trasformati locali comuni ad hoc per il ricongiungimento familiare, approdando, spesso attraverso l’opera di  “estrosi progettisti” appartenenti al personale di custodia o detenuti, a soluzioni che surrogano la dimensione domestica e fraintendono l’uso della decorazione. Nulla a che vedere con una progettazione matura e competente. Nel nostro paese, pur se la norma non lo esclude, l’attività sessuale tra coniugi e partner continua a rappresentare un tabù; pertanto, tale aspetto dell’affettività non è in generale considerato, né tanto meno in termini di dotazioni spaziali.

Un capitolo a parte riguardano le sezioni detentive per le madri detenute con prole. Le carceri femminili italiane sono dotate della sezione denominata “Nido”, per ospitare le madri insieme ai loro bambini. Esse sono ricavate da sezioni generiche sistemate ad hoc, e palesano tutti i limiti architettonici del nostro carcere disumanizzante. La legge n. 62 del 2011 ha previsto gli Istituti a custodia attenuata madri (ICAM), da realizzarsi lontano dal carcere. In tutta la Penisola, sono così state realizzate alcune strutture più simili a residenze civili, pur funzionali alle esigenze penitenziarie. Un esempio di buona prassi in tal senso è rappresentato dall’ICAM di Torino, su progetto di Cesare Burdese, in funzione dal 2014. La struttura, seppure collocata difformemente dallo spirito della norma nell’intercinta della casa Circondariale Lorusso e Cutugno, evita la connotazione carceraria fatta di sbarre, inferriate, cancelli, monotonia e povertà degli ambienti, mancanza di luce, di visuali, di verde ecc. Essa  si presenta come una residenza di comunità, ma senza tratti istituzionalizzanti, per una quotidianità detentiva articolata nel tempo e nello spazio. Si compone di una zona giorno (con spazi per il gioco, per le attività domestiche, per gli incontri e le attività formative), di una zona notte e di un giardino con i giochi per i bambini e ripari per la sosta. I suoi arredi sono stati appositamente progettati e realizzati nella falegnameria del carcere con le maestranze detenute, fornendo in questo modo ulteriori opportunità nell’ottica della loro reintegrazione sociale.

Negli ultimi anni, in alcune scuole universitarie di Architettura e Ingegneria si sono avviate attività di ricerca e didattica sulla tipologia carceraria. Tra le numerose tesi di laurea prodotte in merito, alcune specificatamente si occupano di rispondere al tema dell’affettività, con proposte progettuali di ampio respiro.

 

 

Autore

  • Francesca Perlini

    Laureata nel luglio 2019 in Ingegneria Edile-Architettura all’Università degli Studi di Trento, consegue in seguito l’abilitazione ad ingegnere. Nella sua tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile- Architettura (Relatori Proff. M. Dalprà e P. Baggio, Correlatore Arch. C. Burdese) si concentra sul rapporto fra architettura penitenziaria e cura dei legami affettivi, sperimentando un percorso di progettazione di unità abitative destinate all’incontro fra persone detenute e propri, cari presso la Casa Circondariale di Spini di Gardolo (TN).

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