(Ab)usi del suolo vs rigenerazione urbana: come si muovono le Regioni
Giro d’Italia tra le normative regionali: tra premialità, incentivi al recupero e obiettivi a saldo zero, le regioni più “consumatrici” sono quelle legislativamente più virtuose. Sud indietro
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Il consumo del suolo, bene comune per eccellenza, è uno dei temi di attualità più discussi nell’ambito della pianificazione territoriale. Nonostante l’apparente immediatezza del concetto, non è possibile trovarne una definizione univoca, in quanto fortemente legata ad altri ambiti, quali la rigenerazione urbana e il dissesto idrogeologico (che alcuni enti stanno provando a contrastare promuovendo regolamenti sull’invarianza idraulica e idrologica). Un’analisi soltanto parziale della problematica, evidenzia spesso il consumo di suolo in una riduttiva ottica anti-urbana, erigendolo a vessillo di una lotta ideologica alla “cementificazione”, a favore del primato del territorio agricolo. Ogni trasformazione del suolo, anche quella da naturale ad agricolo, ha invece delle conseguenze sulla sua permeabilità, nonché sul paesaggio.
L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) si occupa ormai da diversi anni, ai sensi della legge 132/2016, di monitorare e quantificare il consumo di suolo in Italia, definendolo «una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato)», ispirandosi parzialmente alla direttiva 2007/2/CE, la quale invece non lega in modo univoco le modificazioni del suolo alla crescita della città. La Commissione Europea ritiene l’impermeabilizzazione «la principale causa di degrado del suolo in Europa» differenziandola dal Land Use, che rappresenta invece semplicemente «un riflesso delle interazioni tra l’uomo e il suolo e costituisce quindi una descrizione di come esso venga impiegato in attività antropiche». La Commissione calcola quindi il consumo di suolo netto attraverso il bilancio tra il consumo di suolo (nuova copertura artificiale del suolo) e «l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione o altro».
In Italia la materia è regolamentata dalle singole regioni, dando vita a un panorama in molti casi non molto dettagliato. Ormai quasi tutte si stanno attrezzando per normare il fenomeno, indirizzandosi per lo più verso il recupero dell’esistente e la densificazione urbana, come alternativa di fatto obbligata alla copertura di suolo inedificato. Una dinamica difficilmente immaginabile nei delicati centri storici delle nostre città e che porterebbe a un vero e proprio cortocircuito laddove i valori immobiliari siano molto bassi, tali da rendere del tutto sconveniente recuperare l’esistente (per non parlare di sostituirlo), se non in presenza di elevate incentivazioni. Oltretutto, così facendo, se non esisteranno più aree libere edificabili, diventerà impossibile attivare politiche perequative urbane, frenando di pari passo lo sviluppo tecnologico.
Tuttavia, la definizione di consumo di suolo non è ancora coerente con quella europea e nazionale e, comunque, sono presenti deroghe o eccezioni significative (riguardanti ad esempio importanti opere pubbliche). Una gestione saggia del territorio deve in ogni caso dipendere prioritariamente da una logica di pianificazione e di progetto del suolo come “bene comune”, capace di superare quelle che hanno portato molti territori ad essere non soltanto “consumati” ma anche degradati e lontani dalle reali esigenze dei cittadini.
Lombardia
È stato recentemente pubblicato il primo adempimento per l’attuazione della L.R. 28 novembre 2014, n. 31 che introduceva nel governo del territorio nuove disposizioni mirate a limitare il consumo di suolo e a favorire la rigenerazione delle aree già urbanizzate. Un Progetto di Legge apposito, a modifica della L.R. 11 marzo 2005, n. 12, dovrebbe approdare a breve in Consiglio regionale. L’integrazione al Piano territoriale regionale approvata dal Consiglio regionale con delibera n. 411 del 19 dicembre 2018 contiene il documento Criteri per l’attuazione delle politiche di riduzione del consumo di suolo che affronta la tematica in modo dettagliato, insistendo che «ogni nuova previsione di trasformazione del suolo agricolo deve tendere a un bilancio ecologico del suolo pari a zero», che può diventare «elemento di progetto che concorre al contenimento del consumo di suolo». Inoltre, «il bilancio ecologico del suolo, deve tendere a zero anche per tutte le aree libere con caratteristiche di naturalità, pur se di scarso valore agronomico». Lo scopo è quello di concretizzare sul territorio il traguardo previsto dalla Commissione europea di giungere entro il 2050 a un’occupazione netta di terreno pari a zero.
Emilia Romagna
Sulla stessa linea d’onda era già la L.R. 21 dicembre 2017, n. 24, che fa un ulteriore passo in avanti, mirando a «contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici» e ponendosi «in coerenza con gli articoli 9, 44 e 117 della Costituzione e con i principi desumibili dagli articoli 11 e 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, l’obiettivo del consumo di suolo a saldo zero da raggiungere entro il 2050». Questo obiettivo deve essere raggiunto tramite la «limitazione del consumo di suolo» degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Per contro, «il consumo di suolo è consentito esclusivamente per opere pubbliche e opere qualificate dalla normativa vigente di interesse pubblico e per insediamenti strategici volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio, nei soli casi in cui non esistano ragionevoli alternative consistenti nel riuso di aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse» e «non è comunque consentito per nuove edificazioni residenziali» se non in alcune casistiche residuali. «La pianificazione territoriale e urbanistica può prevedere, per l’intero periodo, un consumo del suolo complessivo entro il limite massimo del 3% della superficie del territorio urbanizzato». In questo caso, il consumo di suolo viene strettamente legato alla rigenerazione urbana: la Regione infatti «promuove, assieme alla limitazione del consumo di suolo, la rigenerazione di aree edificate con continuità».
Veneto
Anche qui il riferimento normativo, la L.R. 6 giugno 2017, n. 14, mira a ridurre progressivamente il consumo di suolo non ancora urbanizzato, in coerenza con l’obiettivo europeo di azzerarlo entro il 2050 tramite una graduale programmazione regionale e comunale. Anche in questo caso, la tematica viene strettamente legata alla riqualificazione edilizia ed ambientale e alla rigenerazione urbana, che prevedono forme ed azioni quali la demolizione di opere incongrue o di elementi di degrado, il recupero, la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di tipologie edilizie urbane a basso impatto energetico e ambientale, il tutto incentivato dall’istituzione di un fondo regionale. La Giunta regionale, tramite una successiva deliberazione, ha elaborato una quantità massima di consumo di suolo ammesso su scala regionale da suddividere poi successivamente ad ogni comune.
Liguria
La recente L.R. 29 novembre 2018, n.23, individua semplicemente «la rigenerazione urbana quale alternativa strategica al consumo di nuovo suolo», non ponendosi, però, alcun obiettivo in merito.
Puglia
In alcuni casi, si vuole incentivare le alternative alle nuove costruzioni con premialità edificatorie. Così è nella recentissima L.R. 30 aprile 2019, n. 18, che nel titolo parla di «contributo straordinario per la riduzione del consumo di suolo», ma che poi si limita semplicemente a indicare parametri riguardanti le premialità edificatorie.
Lazio
Anche qui è stata promulgata la L.R. 18 luglio 2017, n. 7, Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio, finalizzata a limitare il consumo di suolo unicamente attraverso programmi di rigenerazione urbana e premialità per il rinnovo del patrimonio edilizio.
Abruzzo
La L.R. 1 agosto 2017, n. 40, pone un accento importante sul «contenimento dell’uso del suolo», pur riducendo la questione al «recupero dei vani e locali».
Piemonte
Anche qui, la normativa del Piano territoriale regionale (approvato con DCR n. 122-29783 del 21 luglio 2011) e del Piano paesaggistico regionale (approvato con DCR n. 233-35836 del 3 ottobre 2018), va nella direzione di limitare il consumo di suolo, così come nella nuova L.R. 29 novembre 2018, n. 23, che fa un passo avanti, individuando «la rigenerazione urbana quale alternativa strategica al consumo di nuovo suolo» e imponendo alla Giunta regionale di presentare ogni anno al Consiglio regionale una relazione contenente, tra le altre cose, il «saldo di consumo di suolo».
Marche
Qui, la L.R 23 novembre 2011, n. 22 non parla invece di “rigenerazione”, ma di «riqualificazione urbana sostenibile», e di promozione della «trasformazione urbana in termini di qualità, riducendo il consumo di suolo». I comuni provvedono «alla programmazione di attività volte alla riqualificazione e al contenimento delle espansioni urbane» mediante l’adozione del Programma operativo per la riqualificazione urbana (PORU), che pone un particolare accento sul concetto di invarianza idraulica ma non su quello del consumo di suolo.
Umbria
Il corposo Testo unico sul governo del territorio (L.R. 21 gennaio 2015, n. 1) definisce le regole di uso del suolo, affermando che lo sviluppo urbano deve contenere «il consumo di suolo agricolo» entro dei limiti prefissati rispetto ai piani regolatori vigenti e che è necessario perseguire un assetto ottimale del territorio «secondo i principi del contenimento del consumo di suolo, di riuso del patrimonio edilizio esistente e di rigenerazione urbana, valorizzazione del paesaggio, dei centri storici e dei beni culturali».
Friuli Venezia Giulia
Le regioni a prevalente territorialità montana, o comunque a bassa densità abitativa, si dimostrano particolarmente attente alla questione, soprattutto a causa delle forti spinte insediative legate al turismo. Qui vige il Codice regionale dell’edilizia (L.R. 11 novembre 2009, n.19) che, a seguito di varie modifiche successive, si pone l’obiettivo di «promuovere il contenimento del consumo di suolo, anche favorendo il recupero del patrimonio edilizio esistente o il riuso dello stesso mediante conversione a usi diversi», imponendo principalmente limitazioni all’ampliamento degli edifici esistenti.
Valle d’Aosta
La regione a statuto speciale ha aggiornato la propria normativa nel 2018, con la nuova L.R. 29 marzo 2018, n. 5 che «assicura lo sviluppo sostenibile del territorio attraverso il contenimento del consumo del suolo per mezzo della conservazione e della riqualificazione degli insediamenti abitativi esistenti».
Trento
La Provincia autonoma si era già mossa nel 2015, inserendo nella L.P. 4 agosto 2015, n. 15 una nuova definizione di ristrutturazione edilizia in grado d’incentivare «gli interventi di riqualificazione, anche energetica, del patrimonio esistente, attraverso demolizioni e ricostruzioni, per arrivare, nel 2020, all’obiettivo del consumo zero di territorio».
Bolzano
La nuova L.P. 10 luglio 2018, n. 9 entrerà in vigore invece a inizio 2020 e punta a «ridurre il consumo di suolo e la dispersione edilizia per proteggere in modo durevole ed efficace il paesaggio naturale e culturale dell’Alto Adige». Non si parla quindi di un astratto azzeramento del consumo di suolo, ma di una «riduzione notevole» attraverso «l’individuazione dell’area insediabile» all’interno della quale i comuni «domineranno utilizzo e sviluppo del terreno», amministrandolo «in modo ampiamente autonomo». Costruire al di fuori di quest’area «sarà consentito solo in pochi casi eccezionali» definiti per legge, con particolari restrizioni nei comuni turisticamente sviluppati, che potranno essere ampliati «soltanto usando (e perciò demolendo) cubatura esistente».
Sud Italia
Purtroppo, il Mezzogiorno presenta la maggior carenza dal punto di vista legislativo. Sardegna e Sicilia non hanno promulgato ancora leggi specifiche in merito, e stanno discutendo ancora alcuni DDL in materia di governo del territorio. Peggio ancora va al Molise, unica regione italiana ad oggi priva di una legge urbanistica. In Basilicata, la L.R. 11 agosto 1999, n. 23 su Tutela, governo ed uso del territorio definisce «le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione ed alla difesa del suolo» senza entrare in azioni specifiche, demandandole al Piano strutturale provinciale. In Campania vige la recente L.R. 2 agosto 2018, n. 26 che, all’interno delle misure di semplificazione in materia di governo del territorio, introduce limitatamente al Piano territoriale metropolitano della città di Napoli, il «perseguimento degli obiettivi di tutela dell’ambiente, di riduzione del consumo di suolo e dello sviluppo sostenibile». In controtendenza troviamo invece la Calabria che, con la L.R. 30 giugno 2017, n. 21, ha integrato la L.R. 16 aprile 2002, n. 19 (Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge urbanistica della Calabria) inserendo il principio di «consumo di suolo zero» per i comuni, seppur facoltativo.
Immagine di copertina: © Ant Rozetsky on Unsplash
Nato a Roma nel 1984, vive in provincia di Pavia. Laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 2012, è particolarmente sensibile ai temi dell’efficienza energetica e della rigenerazione urbana. Svolge la libera professione anche nell’ambito della progettazione e della sicurezza sul lavoro. Autore di diversi articoli e saggi, partecipa alle iniziative della Commissione Urbanistica dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della provincia di Pavia