Abitare a Milano: dire “casa” non basta
Seconda puntata dell’inchiesta (a cura di Arianna Panarella) con un report sulle stranianti realizzazioni residenziali che fanno di Milano una città più europea, dinamica e accattivante, ma anche più fastidiosamente caotica
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Intorno al termine “casa” ruota un florilegio di definizioni spesso ardite che nasconde, tra tanta retorica, una non scontata ricerca d’innovazione, con risultati che raramente vanno oltre la disarticolazione della facciata o il dettaglio alla moda. Forse un esito atteso, nella città che ha sdoganato il vivere in un “bosco verticale”
Expo e la sua eredità
Il viaggio nell’abitare contemporaneo della Milano post 2015 non può che partire da qui. La cittadella Expo di Rho-Pero è, oltre le recinzioni, (quasi) sempre chiusa. Cascina Merlata è la sua porta sud: terreni agricoli e spazi aperti dove è cresciuta una piccola cittadella-enclave di torri. La chiamano Social Village, è un quartiere di edilizia integrata (con diverse forme di acquisto o di affitto e quote di social housing) tra i più grandi in Italia. Le new entry recenti sono due, a confermare impianto e strategia: mix di architetture griffate con progetti di professionisti più giovani (anche attraverso concorsi), forme accattivanti o quantomeno contemporanee a marcare un segno in un territorio di margine e dai forti contrasti. Citterio-Viel (lo studio che ha anche firmato il masterplan complessivo) ha inaugurato nel lotto R7 un edificio complesso, con torre di 23 piani e un corpo basso, dalla forma articolata, di 9. L’edificio più alto ha una silhouette regolare e uniforme, quasi una mono-assialità rafforzata dal rivestimento ceramico sui toni del grigio. Quello più basso invece presenta un’estrusione di cornici che delega ad una profondità multipla il suo rapporto, invero non particolarmente intenso, con un intorno in cerca di identità.
Poco più sud, tra via Gallarate e il perimetro del Cimitero monumentale (lotto R4), Residenza Natura (progetto MCL Engineering e Lucia Tamburelli) gioca con i nomi: la natura – se esiste – è solo minerale, almeno allo sguardo odierno, con il cantiere in fase di conclusione. I volumi che definiscono un’ampia corte interna sonomassicci, 6 piani prevalentemente finiti ad intonaco (anche qui il colore è sui toni del grigio, con piccole porzioni verdi), ampi balconi con elementi scorrevoli a conferire un senso di dinamicità.
L’impressione – in questa parte di città che è stata storicamente ed è ancora oggi campo d’intensa sperimentazione dell’architettura residenziale, dal Gallaratese ai progetti scaturiti dai concorsi “Abitare a Milano” – è quella di una, pur elegante e politicamente corretta, rinuncia. L’edificio tende a cercare una qualità in sé, nelle sue scelte linguistiche e tecnologiche, dimenticandosi dell’ambizione a costruire sequenze, tipologie e tessuti: quello che invece l’architettura milanese dei maestri del Novecento – dagli Albini ai Ponti, dai Bottoni ai Caccia Dominioni – aveva fatto tanto intensamente da costruire un’eredità ancora ben visibile. Si è persa anche quella permeabilità con la strada che è stata per tanti versi un carattere identitario. Lo si vede negli edifici alti (spesso recintati come gated communities), ma anche in interventi più minuti.
Paradigmatica in questo senso è la costruzione (in fase di completamento, UNO-A Architetti Associati) al confine con il Parco di Trenno: Abitare Moderno (anche qui il nome dell’intervento non brilla per umiltà) lavora sulla sequenza di abitazioni basse unifamiliari che sostituiscono una cascina, con un risultato volumetrico interessante e una continuità di parete e copertura: le facciate sono rivestite in mattoni, i piani terra invece presentano una finitura con eleganti intarsi materici verticali.
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Vivere nei nuovi centri
La residenza (meglio se accompagnata da un paio di aggettivi inglesi) diventa parte integrante di disegni urbani e territoriali ampi e complessi, dove a dettare regole e canoni sono principalmente le destinazioni terziarie e commerciali. Specialmente in questo caso le scelte compositive vanno verso l’ibridazione: la casa si confonde con l’ufficio, con lo spazio commerciale, assume configurazioni articolate anche per un processo d’integrazione con il paesaggio. In alcuni casi (si può citare la grande C disegnata da OBR a Milanofiori) l’operazione avviene con discreto successo. In altre – come a Porta Vittoria – la qualità architettonica non basta: i grandi blocchi edilizi in laterizio e pietra, disegnati da Fabio Nonis e pensati per essere in collegamento con la grande incompiuta Biblioteca Europea, definiscono un segno urbano potente. Ma a essere utilizzato è soltanto il centro commerciale Esselunga. Per il resto, complice il fallimento della società, gli spazi residenziali sono ancora vuoti. Fantasmi reali di un futuro che tarda a concretizzarsi, e che non lascia intravedere una soluzione rapida dopo l’asta giudiziaria di fine novembre andata deserta.
Rientra invece nelle esperienze che stanno riscontrando successo di pubblico e (in parte) di critica la trasformazione della zona Garibaldi-Repubblica. Anche qui la residenza sembra chiamata in causa per leggere i caratteri della città nuova e assecondarne gli slanci. L’edificio più recente è progettato da Cino Zucchi Architetti: NoveTredici (il nome indica il numero dei piani dei corpi edilizi) è pienamente integrato nella nuova condizione compressa tra corso Como e via De Cristoforis e riesce nella non semplice transizione dalla città storica a quella contemporanea. Il salto di scala costringe ad alzare la testa per cogliere la globalità di una costruzione articolata in pianta e quasi scultorea nei suoi prospetti, giocati – in un bilanciato equilibrio di incastri – con mattoni ed eleganti lamiere piegate. Ancora più spiccato questo senso di esplosione (di volumi e di altezze) si ritrova in un altro progetto firmato Zucchi, in via Frassinetti, zona San Siro: l’orizzonte della cortina edilizia e gli allineamenti vengono drasticamente trasformati da una composizione modulare che disarticola le facciate attraverso livelli multipli e interagenti. Una radicalità che emerge anche al piano terra dove viene disegnato un grande sbalzo che diventa porticato, elemento pressoché unico in questo contesto di edilizia ordinaria.
Il rapporto con il contesto assume implicazioni evidentemente più intense avvicinandosi al cuore storico della città (il centro dei centri), dove le operazioni cambiano di scala, diventando inevitabilmente più puntuali, spesso di semplice manutenzione edilizia, ma che in alcuni casi sono radicali dal punto di vista estetico. Succede in Corso Italia (progetto di Emiliano Rossetto e Marco Zora) dove la facciata di un volume esistente viene recuperata sostituendo serramenti con elementi metallici e inserendo – carattere architettonico che sembra attraversare ogni latitudine dell’architettura milanese – persiane scorrevoli a conferire una sensazione di movimento e di trasformabilità dell’immagine stessa della cortina storica. Tra i resti archeologici più importanti della Milano romana spiccano invece i due bianchissimi e misurati edifici residenziali disegnati da Cecchi & Lima. In questo caso la residenza è l’occasione per recuperare un angolo pubblico della città attorno ad una piazza e a due palazzi storici. Qui non c’è l’ostentazione tecnologica che si ritrova dalla parte opposta di via Brisa (facciata interamente rivestita con pannelli metallici e integrazione di pannelli fotovoltaici): è un lavoro misurato in punta di piedi che gioca sul frammento come parte di un’unità più ampia.
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Tra provvisorietà e futuro
Sperimentazione e innovazione hanno prodotto in questi anni singoli risultati di qualità. Sia a livello tecnologico (come il complesso di housing sociale di via Cenni, progettato da Rossi Prodi Associati, con struttura prefabbricata in legno) che morfologico (come nel nuovo quartiere sociale “Abitare collaborativo” di Figino, pur all’interno di un’operazione discutibile come la realizzazione ex novo di un piccolo centro satellite che sviluppa rapporti di relazione soprattutto con la periferia agricola).
È sul mancato rinnovamento tipologico che l’architettura residenziale milanese contemporanea sembra marcare il passo, rivolgendosi più ai modelli internazionali che al confronto serrato con l’identità locale. Una tradizione fatta di carattere urbano degli interventi, di dialogo con la città storica ma anche di reiterazione e reinterpretazione di dettagli analoghi: dai basamenti in pietra al dislivello (sempre minimo e misurato) rispetto al piano strada. Una presa di distanza che suona evidente sfogliando il recente testo Hoepli Case milanesi 1923-1973. Cinquant’anni di architettura residenziale a Milano (di Simona Orsini Pierina e Alessandro Isastia) che racconta, attraverso 80 edifici, quei caratteri di riconoscibilità e omogeneità che sembrano essersi annacquati in un mare magnum d’indefinitezza. Tendenza che si ritrova anche nella comunicazione, commerciale e di settore: piante e sezioni sembrano sparite, ad essere dati in pasto al pubblico sono quasi esclusivamente affascinanti e coloratissimi rendering. Davanti ai quali è forse lecito porsi una domanda: cosa resta se tolgo dalle facciate quei bellissimi alberi, quelle eleganti vetrate, quei ricercati giochi di incastri materici? È inevitabilmente anche il risultato di condizioni esterne profondamente contraddittorie e di un quadro di esigenze non semplice da cogliere.
Alla Triennale, centro pulsante della cultura architettonica milanese, è in corso un evento dedicato all’abitare contemporaneo: sorprende che nell’ambiziosa mostra/esposizione delle 999 domande l’architettura sia collocata in secondo o terzo piano, a tutto vantaggio dell’approfondimento di modi e stili di vita che sembrano proporsi come i veri fattori determinanti della composizione stessa.
D’altronde, il livello d’internazionalità che la città ha raggiunto significa anche una polverizzazione della committenza: non ci sono più (o non solo) le classi popolari o borghesi in cerca di appartamenti da abitare. Ci sono flussi continui di popolazioni temporanee a cui dare una risposta abitativa, magari solo per pochi mesi.
Paradigmatico è il cantiere nell’ex Centrale del latte per il nuovo Campus Bocconi (SANAA), ormai alle battute conclusive: lo student-housing è una torre cilindrica rivestita di vetro e metallo, il segno riconoscibile del tratto dell’archistar. Categoria che a Milano non difetta: negli ultimi anni qui hanno costruito residenze tutti, da Zaha Hadid a Daniel Libeskind. E, nelle residenze Carlo Erba, c’è anche Peter Eisenman, con un cantiere che ha riaperto dopo alcuni anni di sosta. Inizierà invece a breve quello per gli Horti tra via Orti e via Lamarmora: un complesso di ville, edifici alti e orti, disegnato da Michele De Lucchi, che allude o ricerca un recupero di quella milanesità dell’architettura residenziale canonica che sfuma oggi tra prefissi e definizioni ardite quali temporary-housing, co-housing, student-housing (dove elemento di qualità prevalente sembra essere non il disegno quanto invece le tecnologie digitali e domotiche), lifestyle hotel (come il NYX, in zona Stazione centrale, con ricchissimo apparato di decorazioni interne celate dietro l’immagine rassicurante di un palazzo novecentesco).
L’effetto complessivo è per tanti versi straniante: la modesta, minuta, quasi scontrosa bellezza dell’abitare viene travolta da un’ostentazione delle novità che fa di Milano oggi una città sicuramente più europea, dinamica e accattivante, ma anche più fastidiosamente caotica.
(Tutte le foto sono dell’autore)
Elenco interventi descritti (2015-2017)
Edificio Cascina Merlata, Citterio-Viel, Cascina Merlata, 2017
Residenza Natura, progetto MCL Engineering e Lucia Tamburelli, Cascina Merlata, 2017
Abitare Moderno, UNO-A Architetti Associati, Gallaratese, 2017
Novetredici, Cino Zucchi Architetti, Porta Garibaldi, 2016
Frassinetti 25, Cino Zucchi Architetti, via Frassinetti, 2017
Riqualificazione edificio residenziale, Emiliano Rossetto e Marco Zora, corso Italia, 2016
Riqualificazione in zona archeologica, Cecchi & Lima Architetti Associati, via Brisa, 2016
Campus Bocconi, SANAA, ex Centrale del latte, 2018
Progetti interventi precedenti citati
Bosco Verticale, Stefano Boeri, Porta Garibaldi, 2014
Social Village, Mario Cucinella Architects, Paolo Caputo e altri, Cascina Merlata, 2015
Resjdenze Milanofiori, OBR, Milanofiori, 2010
Complesso polifunzionale di Porta Vittoria, Fabio Nonis, via Ortigara, 2015
Cenni di cambiamento, Rossi Prodi Associati, via Cenni, 2013
Abitare collaborativo, quartiere Figino, 2014
Progetti futuri
Residenze Carlo Erba, Peter Eisenman, via Carlo Erba
Horti Lamarmora, Michele De Lucchi, via Orti – via Lamarmora
Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale